In un'epoca intellettualmente dominata dal laicismo e dal materialismo, pochi analisti occidentali che si occupano di affari internazionali sono molto interessati alle implicazioni politiche della religione. È vero, dinamiche come la rivoluzione iraniana, il ruolo centrale della Chiesa in Polonia e l'ascesa di gruppi di pressione fondamentalisti negli Stati Uniti provocano dibattiti, ma l'influenza più profonda e permanente della religione tende ad essere ignorata [1].
Questa influenza può essere ancora più diffusa nel caso dell'Islam piuttosto che in altre religioni, poiché l'Islam è per eccellenza la fede con un programma per la vita pubblica, un programma dettagliato che guida i fedeli nella politica, nella guerra, nell'economia, nella giustizia e nelle relazioni sociali. Ancora oggi, l'Islam plasma profondamente le opinioni politiche dei musulmani, io intendo dimostrare che, a prescindere dalla fede personale o dall'orientamento politico, i musulmani hanno quindi particolari difficoltà ad adattarsi all'ordine politico moderno [2] e che nessun'altra comunità religiosa ha così tanto destabilizzato l'ordine internazionale.
I musulmani incontrano l'Occidente
Sebbene sia associato principalmente agli arabi e al Medio Oriente, l'Islam si estende su un'area estremamente vasta che va dall'Africa occidentale ai confini dell'Asia orientale. In effetti, la maggior parte dei musulmani non vive in Medio Oriente: 123 milioni risiedono in Indonesia, circa 70 milioni in Pakistan, in Bangladesh e in India, 50 milioni in Unione Sovietica, 35 milioni in Nigeria e perfino 20 o più milioni in Cina [3]. Questi musulmani tendono a essere dimenticati quando gli occidentali parlano di Islam, pertanto, per un quadro completo, devono essere presi in considerazione. Nonostante le loro grandi differenze di lingua, cultura e razza, nel grado di sviluppo e nel sistema politico, essi hanno numerose caratteristiche in comune riguardo alle ideologie occidentali e alla politica delle superpotenze.
Più degli altri non occidentali, i musulmani hanno grandi difficoltà ad accettare le idee politiche europee moderne e la predominanza dell'Europa e dell'America. Una parte del problema risiede nel lungo e per lo più spiacevole rapporto dei musulmani con l'Occidente cristiano. Mentre il resto del mondo – tra cui l'Asia orientale, l'India, l'Africa sub-sahariana e le Americhe – entrò per la prima volta in contatto con l'Europa intorno al 1500 d.C., molti musulmani conoscevano l'Europa da secoli. Musulmani e cristiani combatterono tra loro ripetutamente nelle Crociate, nella riconquista della Spagna e nella minaccia turca all'Europa orientale, creando un modello di ostilità che ha lasciato un retaggio amaro su entrambe le parti.
Successivamente, il dominio coloniale europeo amplificò l'ostilità musulmana verso l'Occidente. Oggi, i musulmani trovano molto difficile accettare le idee e le tecniche europee e risentono della dominazione europea. Ripetutamente, quando musulmani e non musulmani sono entrati contemporaneamente in contatto con gli europei, i musulmani hanno acquisito più lentamente le nuove competenze e sono rimasti indietro nell'adattarsi alle condizioni moderne, come ad esempio è accaduto in Malesia, in India, in Libano, in Jugoslavia e in Nigeria.
Ancor più importante è il fatto che l'orientamento politico tradizionale dei musulmani presenta degli ostacoli specifici all'assorbimento delle sue ideologie. L'Islam prevede un sistema giuridico, la sharia, che implica una serie di obiettivi per la vita pubblica riguardanti questioni come le forme specifiche dell'autorità politica, la guerra, le tasse, la giustizia e molto altro ancora. Oggi, queste disposizioni hanno due retaggi, uno per i musulmani osservanti (ossia le persone che sono intenzionate a vivere profondamente la loro fede) e un altro per i musulmani etnici (quelle persone nate musulmane, ma che non sono osservanti). Proprio come gli occidentali, indipendentemente dal credo personale, sono influenzati da un patrimonio comune del pensiero greco, delle istituzioni romane e della fede cristiana, così i musulmani sono influenzati dal loro background islamico. Questo crea delle prerogative condivise che abbracciano la totalità delle credenze e la gamma di aree geografiche [4].
Negli ultimi anni, l'Islam ha conquistato le prime pagine a causa del maggiore impatto dei movimenti musulmani osservanti. Lo sforzo compiuto per far sì che i musulmani seguissero i precetti islamici ha acquisito una nuova forza in un gran numero di Paesi, tra cui Senegal, Mauritania, Nigeria, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Sudan, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Giordania, Siria, Turchia, Iran, Pakistan, Isole Maldive, Bangladesh, Malesia e Indonesia.
La seguente analisi esamina in che modo i musulmani, osservanti ed etnici, rispondono a una delle più influenti ideologie occidentali – il nazionalismo – e come fanno fronte alle due grandi potenze dell'epoca, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica.
Nazionalismo contro panislamismo
L'ordine politico odierno è fondato sullo Stato-nazione; gli imperi e le tribù un tempo così comuni hanno ceduto il passo nel secolo scorso all'ideale delle nazioni determinate territorialmente, ognuna con una popolazione distinta. L'ideologia nazionalista chiede ai cittadini di dirigere la loro profonda lealtà verso la nazione, non verso la religione, la famiglia, la città, la classe etc.
L'idea di nazione, lungi dall'essere una nozione universale, si è sviluppata in particolari circostanze dell'Europa occidentale nel corso di molti secoli. Malgrado la rigidità del nazionalismo, soprattutto per ciò che concerne le minoranze, e il suo triste primato di provocare conflitti, questa ideologia si è diffusa dall'Europa al resto del mondo. Oggi, il nazionalismo ha forza quasi ovunque, e spesso ha più impatto fuori dall'Europa anziché dentro (si confronti il Vietnam con la Gran Bretagna). La maggior parte dei popoli ha incorporato piuttosto bene gli obiettivi nazionalisti nei loro sistemi politici: in Asia orientale, molti Paesi s'inseriscono benissimo nel quadro nazionale (ad esempio, la Cina, il Giappone, la Corea, la Tailandia e il Laos), mentre in India, nell'Africa sub-sahariana, nell'Asia sudorientale e nelle Americhe, le tradizioni politiche locali erano in genere troppo deboli per affrontare la sfida dell'ideale nazionalista, che ora regna sovrano.
Anche se la maggior parte degli Stati africani è stata creata senza preoccuparsi della geografia umana o naturale, i confini esistenti hanno acquisito un valore sacrosanto e non possono essere messi in discussione. L'Organizzazione dell'Unità Africana ha stabilito come regola cardinale che i confini odierni non possono essere contestati in alcun caso, una decisione sensata ha salvato innumerevoli vite. Lo status quo può essere accettato dalla maggior parte dei leader, nonostante le sue carenze, perché nessun concetto opposto di Stato sfida quello nazionalista che i colonizzatori europei si lasciarono alle spalle.
In netto contrasto, i membri della Lega degli Stati arabi si scagliano contro i confini lasciati loro in eredità dalle potenze imperiali e hanno escogitato dei piani multipli per sradicare i confini esistenti come primo passo per costruire un solo Stato arabo dall'Oceano Atlantico al Golfo Persico. Gli arabi, i musulmani etnici per eccellenza, hanno una visione di un ordine politico alternativo che pone l'accento sui legami culturali piuttosto che sul territorio, una visione che deriva direttamente dal loro background islamico. In quanto musulmani, sono gli eredi di una potente tradizione di ideali politici fondamentalmente diversi da quelli veicolati dagli europei. I due ideali sono in conflitto: quanto più completa è l'identificazione di un popolo nell'Islam tanto più difficile è per loro accettare l'ordine moderno delle nazioni.
Prima del massiccio impatto delle idee europee nel XIX secolo, i musulmani non avevano sostanzialmente alcuna idea di quella che fosse la fedeltà alla loro terra o ai suoi abitanti; al contrario, provavano un sentimento molto forte per l'umma (la comunità di tutti i musulmani) e per la loro comunità immediata, come la famiglia, la tribù, il villaggio etc. La religione islamica ignora di fatto la geografia, anche se esalta fortemente i legami tra i musulmani e il fossato che li separa dai non musulmani. Ad esempio, in Egitto, un musulmano nutriva sentimenti più calorosi nei confronti di un correligionario indiano piuttosto che per un cristiano che incontrava in strada. L'Islam esige che i musulmani si aggreghino in una singola entità politica sotto un unico leader [5]. Per abbreviare, definiremo questo sentimento panislamismo.
Per quanto il panislamismo non potesse trovare attuazione – i musulmani sono stati a lungo troppo numerosi e troppo sparpagliati per stare sotto un unico governo e hanno combattuto incessantemente gli uni contro gli altri – i suoi obiettivi hanno esercitato una profonda influenza sulla politica nel mondo musulmano. A prescindere da quanto fossero politicamente divisi i musulmani, essi mantennero l'ideale di uno unico stato islamico; al contrario, i governanti locali e territoriali che detenevano di fatto il potere, agli occhi dei loro sudditi musulmani apparivano come usurpatori, colpevoli di aver distrutto l'unità musulmana e di aver trascinato i fedeli a scontrarsi a vicenda. Di conseguenza, i musulmani bramavano l'unità e negarono a questi governanti territoriali il loro pieno rispetto [6].
Nel XIX secolo, quando i musulmani entrarono sempre più in contatto con le idee politiche europee, il panislamismo e il nazionalismo si scontrarono. Il primo invocava un unico stato islamico internazionale, il secondo auspicava una divisione dei musulmani in unità etniche territorialmente distinte. Alla fine del XX secolo, i musulmani conquistarono la loro indipendenza nel quadro degli Stati nazionali lasciati loro dai colonialisti europei. Ovviamente, i nuovi governanti evidenziarono l'importanza dell'unità nazionale e con essa la loro rilevanza politica. Esortarono i musulmani, per la prima volta in assoluto, a far sì che la lealtà territoriale fosse della massima importanza, talvolta con successo, ma più spesso con risultati diversi.
L'eredità del panislamismo
Anche se la lealtà islamica passò in secondo piano, l'eredità del sentimento panislamico e non-territoriale continuò a farsi sentire, minando l'idea di Stato-nazione in almeno tre modi: rendendo i musulmani 1) riluttanti ad accettare i confini del loro territorio nazionale; 2) restii a rimanere fuori dagli affari interni di altri Stati musulmani; e 3) contrari ad essere governati da non musulmani.
(1) Avversare i limiti territoriali: La creazione del Pakistan è un esempio della riluttanza dei musulmani ad accettare i normali limiti geografici dello Stato. I musulmani che temevano di essere sommersi nell'India indipendente come minoranza permanente convinsero i britannici a dividere l'India nel 1947 per formare da essa uno Stato musulmano separato del Pakistan. Sebbene i musulmani fossero concentrati all'estremità occidentale e orientale dell'India settentrionale, in due aree molto vaste e con un maggior numero di abitanti, decisero di creare un unico Stato musulmano, ignorando le differenze esistenti tra loro di lingua, cultura e di origine etnica, oltre a una separazione territoriale di oltre 1500 km. I musulmani indiani speravano di sfidare l'imperativo territoriale della nazione moderna facendo affidamento sullo spirito islamico e non sulla contiguità geografica. Ma fallirono: le pressioni che separavano le due ali del Pakistan portarono alla guerra tra loro nel 1971-1972 e alla dichiarazione dell'indipendenza del Bangladesh. Per un quarto di secolo, il sentimento panislamico mantenne il subcontinente indiano in uno stato costante di tensione.
Il panarabismo, un movimento finalizzato a unire tutti i popoli arabofoni in un unico Stato, ha sconvolto per decenni la politica degli Stati nazionali arabi, che ora sono ventitré. Il panarabismo offre una versione laicizzata e modernizzata del panislamismo; [7] proprio come la dedizione all'unità islamica un tempo induceva i musulmani ad avversare i loro governi locali., l'unità araba ora mina i singoli Stati arabi [8]. Si noti come il "panarabismo" nella citazione seguente di Fouad Ajami può essere rimpiazzato dal "panislamismo" senza alcuna distorsione di significato. All'apice dello splendore del panarabismo, dal 1956 circa al 1973, Ajami scrive:
il panarabismo poteva rendere i regimi piccoli e insignificanti: strutture disincarnate guidate da governanti egoisti che resistevano alla missione travolgente dell'arabismo ed erano sostenute da potenze esterne che probabilmente temevano l'unica idea in grado di far rivivere l'epoca d'oro classica degli arabi. (...) Gli Stati erano senza legittimità sufficiente. Quelli che opposero resistenza alle rivendicazioni del panarabismo erano svantaggiati: le loro popolazioni erano un giusto bersaglio per gli appelli panarabisti, i loro leader andavano rovesciati e rimpiazzati da altri più impegnati nell'obiettivo trascendente [9].
Se i leader arabi anteponessero gli interessi dei loro stessi cittadini a quelli degli arabi nel loro insieme, si renderebbero vulnerabili ai colpi di Stato, e insieme all'ordinario sentimento nazionale illecito, i legami normali di una nazione non potrebbero svilupparsi, contribuendo così a spiegare la natura estremamente instabile della politica araba.
(2) Interferire negli affari degli altri: Il panarabismo sanziona l'ingerenza di uno Stato negli affari di un altro e si oppone alla dicotomia ampiamente accettata tra gli affari interni ed esterni. Ogni leader panarabista crede di avere il diritto di immischiarsi negli affari altrui. Così gli iracheni hanno fatto giochi pericolosi nello Yemen del Sud, gli algerini appoggiano un governo in esilio contro Sadat e sei Stati arabi hanno aiutato attivamente le fazioni nella guerra civile libanese. Il panarabismo ha spinto tutti gli Stati arabi ad abbracciare la causa palestinese, trasformando il conflitto con Israele da una disputa locale in una questione di primaria importanza politica ed economica internazionale. La lotta contro Israele ha sempre fornito una giustificazione per interferire negli affari di un Paese vicino con la motivazione che Israele non è abbastanza fervente nei suoi sforzi contro il sionismo. Pertanto, l'esistenza di Israele ha fornito un importante pretesto per i regimi ambigui in cerca di modi per aumentare il loro potere.
Seguendo gli esempi di Gamal Abdel Nasser e dei baathisti iracheni, il governo libico sotto il colonnello Muammar Gheddafi è ricorso maggiormente all'uso di quest'arma. Gheddafi aspira a guidare il mondo arabo, forse anche quello islamico; da governante di un importante Paese produttore di petrolio, il colonnello libico dispone di ingenti somme con cui compensare le esigue risorse umane della Libia e perseguire i suoi interessi nel mondo. Si possono distinguere tre livelli di attività: arabo, islamico e internazionale. Nel perseguimento dell'unità araba, Gheddafi ha cercato di fondere la Libia con l'Algeria, la Tunisia, l'Egitto, il Sudan e la Siria, ha fomentato colpi di Stato in decine di Paesi arabi ed è ricorso alle forme più virulente di estremismo nella sua opposizione a Israele. A livello musulmano, ha finanziato le cause islamiche in più di ventiquattro Paesi; le guerre civili su grande scala in Ciad e nelle Filippine sarebbero finite anni fa se non fosse stato per le armi libiche e per l'appoggio politico ai ribelli musulmani. In Eritrea, in Libano e in Tailandia, i musulmani hanno altresì fatto molto affidamento sulla Libia nei loro conflitti con i governi centrali. A livello internazionale, Gheddafi ha fomentato rivoluzioni e disordini ovunque possibile: dalle Isole Canarie a Granada a Tonga, dall'Africa sudoccidentale all'Irlanda del Nord, il colonnello ha costantemente ignorato i limiti ordinari dell'ordine internazionale [10]. Per quanto arabi e musulmani deplorino i misfatti di Gheddafi, raramente contestano il suo diritto a delle attività extraterritoriali.
La Libia è tutt'altro che unica: anche l'Arabia Saudita assume un ruolo attivo a livello arabo, islamico e internazionale, sebbene con meno impatto della Libia. Il governo saudita spende di più, ma tende a sostenere lo status quo piuttosto che le cause rivoluzionarie, quindi il suo marchio non è così visibile [11]. Sono numerosi gli esempi di altri Stati musulmani coinvolti al di là delle loro frontiere: la Malesia aiuta i ribelli musulmani in Tailandia e nelle Filippine e si interessa attivamente ai musulmani di Singapore; l'Iran e il Pakistan sono coinvolti nell'insurrezione contro il governo pro-sovietico dell'Afghanistan; e la Turchia ha invaso Cipro per aiutare i turchi contro i greci.
(3) Rifiutare di essere governati dai non musulmani: Anche quando i musulmani condividono con i musulmani lingue e tradizioni culturali, condividono il potere con disagio; costantemente nascono gruppi musulmani per staccarsi dai non musulmani o per ottenere il controllo su di loro. Di recente, sono avvenute scissioni in Ciad, Kosovo, Cipro, Ogaden, Eritrea, India, Birmania, Tailandia e nelle Filippine. Tentativi di ottenere il controllo sui non musulmani hanno avuto luogo in Malesia, Siria, Libano, Israele, Egitto, Sudan, Uganda, Nigeria, Senegal e in Bosnia.
In conclusione, l'Islam rende particolarmente difficile per le popolazioni musulmane di integrarsi nel sistema degli Stati nazionali. Le loro difficoltà con l'ordine politico moderno continueranno finché esso metterà l'accento sulla territorialità.
I musulmani osservanti tra progressismo e comunismo
Di fronte a una scelta di ideologie occidentali, i musulmani osservanti scelgono l'Islam. Vedono dei difetti in ogni programma straniero – l'anarchia del liberalismo, l'insensibilità del capitalismo, la brutalità del marxismo, la povertà del socialismo – e sono convinti che l'Islam risolva tutti questi problemi. E allora perché abbandonare la propria tradizione? Per i musulmani osservanti, la sfida è propriamente quella di comprendere il messaggio islamico e applicarlo. I precetti islamici stabiliscono specifici obiettivi politici (l'unità di tutti i musulmani sotto un unico governante, la guerra solo contro i non musulmani, aliquote fiscali basse, un codice giuridico rigoroso e così via dicendo), ma non i metodi con cui conseguirli. Più un musulmano è fervente, meno è probabile che guardi all'Europa per ottenere aiuto nell'applicazione dell'Islam; al contrario, egli crede che le idee straniere non fanno che deviarlo dal retto sentiero, e devono essere ignorate. È questo, ad esempio, ciò che pensa Khomeini [12].
Ma quando i musulmani osservanti controllano i governi, devono fare delle scelte tra le superpotenze; in questo caso, quale ideologia preferiscono, il liberalismo o il marxismo? Ad alcuni il liberalismo va a genio perché rispetta quelle istituzioni che sono particolarmente care all'Islam, tra cui la fede religiosa, l'unità familiare e la proprietà privata. Al contrario, il marxismo invoca la loro abolizione a favore, rispettivamente, del materialismo, dello Stato e della proprietà comune.
Altri musulmani osservanti non sono tuttavia d'accordo e, nonostante queste grosse divergenze con il pensiero marxista, essi ravvisano una compatibilità di spirito con il marxismo. Hanno ragione: un attento confronto mostra che l'Islam condivide tanto le idee del marxismo quanto quelle del liberalismo.
Per cominciare, sia l'Islam sia il marxismo rivendicano l'intera verità. I libri sacri in ogni caso non lasciano dubbi sul modo appropriato di disciplinare la società. A differenza del liberalismo, che non ha un obiettivo preponderante, ma consente a ciascun cittadino di trovare la propria strada, il marxismo e l'Islam hanno una chiara visione della vita retta. Il liberalismo esalta la libertà e mira a dare ad ogni persona uno spazio sufficiente per scegliere il proprio destino. Al contrario, l'Islam e il marxismo sono dei sistemi globalizzanti che dirigono la vita degli individui fin nei minimi dettagli.
Certo, i dettagli nei due sistemi differiscono radicalmente, ma entrambi utilizzano il governo per modellare la società conformemente alle teorie scritte molto elaborate. L'Islam comincia dalla sfera privata ed estende il suo controllo alla gente, mentre il marxismo si muove nella direzione opposta: alla fine, entrambi sono focalizzati su quasi ogni aspetto della vita. La maggior parte delle attività – bere vino o dipingere quadri astratti – ha implicazioni politiche e prevede il controllo del governo. Entrambi scoraggiano il dissenso e puniscono severamente chi rifiuta di cooperare.
Diversamente dal liberalismo, con i suoi obiettivi terreni, l'Islam e il marxismo volano alto. L'Islam invoca una società in armonia con le leggi di Dio, il marxismo elimina Dio e contempla un ordine sociale in armonia con i principi scientifici. Ogni programma prevede che gli esseri umani modifichino in modo radicale il loro comportamento per soddisfare le esigenze di queste leggi e di questi principi. Ad esempio, l'Islam bandisce la guerra tra vicini se sono musulmani e il marxismo esige innanzitutto lealtà alla classe, ma né l'uno né l'altro ha molte possibilità di successo. Allo stesso modo, l'Islam vieta l'attribuzione di interessi sul denaro prestato per porre fine allo sfruttamento economico e il marxismo proibisce i profitti per lo stesso motivo, ma nessuno dei due ci riesce, perché gli interessi e i profitti sono troppo importanti per essere eliminati, e possono soltanto essere dissimulati.
Le aspirazioni universali – l'approccio a Dio o la solidarietà di classe – inducono sia l'Islam sia il marxismo a deplorare la divisione dell'umanità in nazioni come artificiale. Tuttavia, i musulmani osservanti e i marxisti sono pronti a dare prova di patriottismo in tempi di crisi, come dimostrato dall'Iran nel conflitto con l'Iraq e la Russia nella Seconda guerra mondiale. Il liberalismo ha dato vita a una gran varietà di elementi che sembrano perturbatori e minacciosi sia per i legalisti sia per i marxisti: in particolare, li disturbano i film cruenti, la musica ad alto volume, i vestiti attillati, la pornografia e il sesso occasionale. Sebbene non siano in alcun modo inerenti al liberalismo, l'indulgenza e l'individualismo dell'Occidente moderno vengono visti come inevitabili sottoprodotti dei controlli statali allentati. Lo stile di vita disinvolto che il liberalismo consente di sfidare i modelli fortemente strutturati richiesti dall'Islam e dal marxismo.
In sintesi, queste similitudini non portano alla conclusione che l'Islam e il marxismo sono simili, ma hanno qualcosa in comune proprio come l'Islam con il liberalismo. Come Weltanschauung – visione del mondo – l'Islam è pressoché equidistante tra le due ideologie occidentali.
I musulmani osservanti tra gli Stati Uniti e l'URSS
Questo fatto ha un'importanza fondamentale, poiché implica che quando i governi guidati da musulmani osservanti devono scegliere tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, essi non sono inclini a privilegiare nessuno dei due. Le affinità astratte con gli Stati Uniti sono eguagliate da altre con l'Unione Sovietica, annullando tutte le altre, lasciando le considerazioni pratiche di primaria importanza. I musulmani osservanti trattano con le superpotenze praticamente senza alcun riferimento all'ideologia. In un mondo dominato da due potenze viste come ostili all'Islam, essi reagiscono alle pressioni esterne schierandosi dalla parte di chi minaccia meno l'Islam. Il Paese che ha meno intenzioni malevoli, è quello che deve essere meglio accolto? Le risposte a tali domande forniscono indicazioni su quale blocco sarà favorito dai musulmani osservanti. Come indica questa scelta, le loro relazioni con le superpotenze sono contraddistinte da un approccio difensivo di Realpolitik. La cooperazione è solo tattica, poiché gli obiettivi a lungo termine differiscono troppo profondamente dall'obiettivo comune con l'America o la Russia. Così, un musulmano osservante si allinea con il suo governo similmente alla decisione americana di cooperare con Stalin contro la Germania nazista o con la Cina contro il regime di Breznev; queste alleanze sono state forgiate per obiettivi specifici e senza aspettative di amicizia o uno scopo comune.
Le recenti politiche perseguite dai principali governanti musulmani osservanti calzano perfettamente questo modello di relazioni non ideologiche con le superpotenze. Dal 1979, l'Iran è stato molto vulnerabile: alla luce dell'importanza strategica ed economica dell'Iran, della sua economia in affanno, dell'incapacità di Teheran di affermare il suo controllo sul Paese e della guerra con l'Iraq, i khomeinisti hanno bisogno di instaurare ottimi rapporti con le potenze esterne. Ma hanno offeso entrambe le superpotenze e (come indica il loro famoso slogan "Né Oriente né Occidente") hanno evitato di allinearsi con i due blocchi.
Detto questo, Khomeini e i suoi seguaci sfogano la maggior parte del loro furore smodato contro gli Stati Uniti e non contro l'Unione Sovietica. Secondo molti in Iran, i sovietici possono incombere su una lunga frontiera, ma gli americani sono già all'interno [13]. Le loro forze rimisero lo Scià al potere nel 1953 e lo mantennero lì. I khomeinisti incolpano l'America di quasi tutti i problemi in Iran, dagli ingorghi stradali alla morte dello Scià, dalla tossicodipendenza alla decisione dell'Iraq di entrare in guerra [14]. Al contrario, ignorano la Russia, nonostante il lungo confine in comune tra i due Paesi, il dominio russo su cinquanta milioni di musulmani in Asia centrale, l'invasione dell'Afghanistan e l'evidente interesse sovietico a controllare l'Iran e il Golfo Persico. Malgrado queste preoccupazioni, i khomeinisti vedono gli Stati Uniti come una minaccia per l'Iran, più dell'URSS. La sua cultura, e non le banali offerte dell'Unione Sovietica, ha invaso il Paese, portando il consumismo e la cosiddetta decadenza morale.
L'Islam fervente, seppur eccentrico, di Muammar Gheddafi non gli ha impedito di giocare con le grandi potenze. Nei primi anni del suo governo, dopo il 1969, Gheddafi criticò gli atei al potere in Unione Sovietica, ma col tempo trovò più facile trattare con loro rispetto ai leader occidentali, e anche più ragionevole, perché essi erano tendenzialmente più d'accordo con la Libia sulle questioni internazionali (soprattutto sul conflitto con Israele). Dal 1975, le armi della Libia arrivano principalmente dell'URSS e in quantità tale che la Libia potrebbe fungere da arsenale sovietico in caso di guerra sia nell'area mediterranea sia in Africa.
Per il governo dell'Arabia Saudita, l'Islam fornisce l'ideologia e il fondamento logico per l'esistenza dello Stato (parallelamente alla dipendenza sovietica dal marxismo): è questa la motivazione addotta per il suo persistente rifiuto di stabilire legami diplomatici con qualsiasi Paese comunista. Ma Riad aveva mantenuto delle relazioni diplomatiche con l'Unione Sovietica tra il 1926 e il 1938, quando queste erano considerate svantaggiose. (Paradossalmente, i russi hanno riconosciuto il Regno saudita prima di molte altre potenze.) La posizione saudita non rappresenta una dottrina immutabile, ma una risposta flessibile. Qualche anno fa, i leader sauditi decisero di riscaldare di nuovo le relazioni con i russi, consentendo il diritto di sorvolo, migliorando i rapporti con diversi Stati satelliti dell'URSS e mandando segnali di un'apertura a delle relazioni diplomatiche ufficiali. I sauditi guardano agli Stati Uniti per la loro difesa, pur rifiutando le basi americane sul loro territorio e hanno perfino offerto all'Oman 1,2 miliardi di dollari se il Paese avesse rifiutato la presenza militare americana [15].
Zia ul-Haq ha consolidato il suo vacillante controllo sul Pakistan con l'Islam. Nel 1977, egli dichiarò un ambizioso programma di islamizzazione, sebbene finora siano stato compiuti solo passi superficiali in quella direzione. L'accento posto sull'Islam ha influenzato la risposta di Zia ul-Haq all'invasione sovietica dell'Afghanistan? Non in modo evidente. Innanzitutto, egli ha rifiutato 450 milioni di dollari in aiuti militari da parte degli Stati Uniti, definendoli "noccioline", per poi accettare aerei da combattimento americani. Allo stesso tempo, ha mantenuto stretti contatti con la Cina comunista. L'Islam non gioca alcun ruolo percettibile in queste scelte.
Tra gli Stati Uniti e l'URSS : i musulmani etnici
Se gli Stati governati da musulmani osservanti sono tra i più propensi a rimanere fuori dal Grande Gioco, lo stesso dicasi per qualsiasi governo musulmano etnico, indipendentemente dall'orientamento religioso. Un'origine musulmana segnala una certa riluttanza a lasciarsi coinvolgere nel preminente conflitto dell'epoca.
Indipendentemente dalla sua fede o dalla sua politica, un musulmano è l'erede di una lunga tradizione di superiorità morale che deriva dall'Islam. Fin da quando questa religione ebbe inizio nel VII secolo, i suoi seguaci hanno considerato il loro modo di vita incomparabilmente migliore rispetto a quello di chiunque altro e raramente sono stati disposti a imparare dai non musulmani sull'organizzazione della società o del governo. Nonostante i numerosi colpi duri ricevuti in epoca moderna, questi sentimenti sono ancora forti: anche gli atei di origine musulmana sono riluttanti ad ammettere che i non musulmani hanno creato uno stile di vita più efficace.
I musulmani che adottano uno stile di vita moderno preferiscono non riconoscere che lo hanno preso in prestito dall'estero. Nell'ambito dell'ideologia politica, i musulmani sostengono ampiamente che qualunque buona idea abbracciata dall'Occidente possa essere trovata nell'Islam: fanno risalire il socialismo, la democrazia e anche il nazionalismo al Corano e agli inizi della storia islamica. Inoltre, i musulmani evitano di fare proprie le ideologie straniere nella loro interezza, preferendo accogliere solo quelle parti che si adattano a loro per poi rietichettare questa ideologia modificata. Gamal Abdel Nasser ha inventato qualcosa che ha chiamato "socialismo arabo" e il suo protetto Muammar Gheddafi promuove le sue idee come "socialismo islamico" [16].
Altri musulmani sanificano le idee europee prima di ammetterle: Ali Shari'ati, fonte di ispirazione intellettuale dei giovani iraniani negli ultimi anni, si è adoperato per riconciliare i benefici del socialismo con gli ideali dell'Islam [17]. Tanto Shari'ati quanto Gheddafi (ma quest'ultimo in modo meno sofisticato) arguiscono che il socialismo non implica l'ateismo: si può rimuovere l'ateismo dal marxismo e mantenere intatto il programma socialista [18].
La pressione esercitata dai musulmani osservanti spiega una parte di questa riluttanza. I musulmani osservanti hanno ripetutamente manifestato la loro opposizione a schierarsi con una superpotenza e hanno rovesciato i governanti che ignorano la loro opinione. La loro avversione verso rapporti molto stretti con gli Stati Uniti ebbe un ruolo importante nel colpo di Stato del 1969 contro re Idris di Libia, nella rivoluzione del 1978-1979 contro lo Scià dell'Iran, nell'attacco alla Mecca del 1979 e nell'assassinio di Anwar as-Sadat avvenuto nel 1981. Altri governi, come quello del Pakistan e del Marocco, potrebbero dover far fronte in futuro a ribellioni simili, sebbene siano stati più attenti alle opinioni espresse dai musulmani osservanti e più cauti nelle loro relazioni con gli Stati Uniti. I musulmani osservanti in Turchia si sono sempre opposti all'adesione del loro Paese alla NATO, vedendola essenzialmente come un'organizzazione cristiana. Perché i turchi dovrebbero lasciarsi coinvolgere in un conflitto tra infedeli? Alla fine, questo sentimento potrebbe indurre la Turchia a ritirarsi dall'alleanza, forse sotto il pretesto di una disputa con la Grecia.
I governi vicini all'Unione Sovietica affrontano sfide simili. Rivolte, attentati e omicidi per mano dei Fratelli Musulmani hanno accolto la presenza militare sovietica in Siria; la morte violenta di Sheikh Mujibur Rahman nel 1975 fu dovuta in parte al malcontento dei musulmani osservanti per la dipendenza del Bangladesh dall'URSS. All'inizio degli anni Settanta, diversi governi, come quello dello Yemen del Nord, del Sudan e della Somalia, dovettero fronteggiare tumulti scatenati da musulmani osservanti a causa delle strette relazioni di quei governi con i sovietici, e nel 1978, la popolazione afgana si ribellò quando il suo governo passò sotto l'egida sovietica.
Anche quando la pressione dei musulmani osservanti non è importante, i musulmani etnici sono cauti nei confronti delle grandi potenze. In quanto eredi di una lunga e fiera tradizione politica, essi trovano disdicevole diventare ausiliari in un conflitto dove predominano i cristiani. Perché i musulmani dovrebbero essere coinvolti in una lotta tra due sistemi e due popoli estranei? Non farebbero meglio a stare alla larga, a trovare da soli le loro soluzioni ai problemi e a stringere legami esigui con le potenze, mantenendo una distanza prudente da loro.
In effetti, i Paesi musulmani tendono a fare esattamente questo. Pochissimi Paesi islamici – soprattutto la Turchia e lo Yemen del Sud – si sono posizionati saldamente nel campo di una superpotenza e vi sono rimasti a lungo. I governanti musulmani preferiscono trarre vantaggio dalla protezione da parte di un potente protettore senza però impegnarsi nell'ideologia o nelle istituzioni del patron.
Nel momento in cui il Partito Ba'ath in Iraq promuoveva gli obiettivi sovietici a livello internazionale, i suoi leader hanno regolarmente affermato la loro indipendenza giustiziando i comunisti iracheni, acquistando armi dall'Occidente e promuovendo carte che invocavano l'espulsione delle truppe non arabe da tutti territori arabi. Sebbene occasionalmente Gheddafi minacci di aderire al Patto di Varsavia [19], il generale libico non rinuncia mai al diritto di lanciarsi in progetti improbabili, alcuni dei quali (come aiutare i ribelli afgani) ledono gli interessi sovietici. Il neutralismo musulmano aiuta altresì il comportamento anticonformista dell'Albania, l'unico Paese musulmano con un governo marxista a tutti gli effetti. Affermando di attenersi scrupolosamente al vero comunismo mentre tutti gli altri partiti sono diventati "revisionisti", la leadership albanese oltraggia l'URSS con lo stesso accanimento degli Stati Uniti. La sua origine islamica è una delle cause di questa ostilità peraltro sconcertante.
I tentativi di rendere i Paesi musulmani rivali delle grandi potenze di solito falliscono. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna convinsero quattro Stati islamici (Turchia, Iraq, Iran e Pakistan) a firmare il Patto di Baghdad nel 1955, sperando che ciò avrebbe bloccato i sovietici fuori dal Medio Oriente. Ma il Patto portò all'esatto contrario; Nasser rispose a questo tentativo di controllare i musulmani avvicinandosi all'Unione Sovietica, portando con lui numerosi arabofoni. Nello stesso Iraq, l'accordo creò uno scalpore tale da contribuire direttamente al colpo di Stato della Sinistra che rovesciò la monarchia nel 1958. Il "consenso strategico" dell'amministrazione Reagan contro l'Unione Sovietica incontrò una fine più rapida e ancor più ignominiosa. Numerosi commentatori hanno rilevato l'impossibilità di aggirare il conflitto arabo-israeliano e altri problemi regionali riorientando l'attenzione verso l'Unione Sovietica e potrebbero anche aver notato il precedente Patto di Baghdad: la riluttanza musulmana a scegliere da che parte stare ha condannato questo piano.
L'impulso verso la neutralità è più profondo. Nasser incarnava questo quando cercò di mettere Washington e Mosca l'una contro l'altra, sapendo fino a che punto poteva spingersi, traendo i massimi vantaggi da entrambe le parti. Sono stati soprattutto i leader musulmani ad aver emulato Nasser in questa destrezza tipicamente musulmana: ad esempio, in Algeria, nello Yemen del Nord e in Afghanistan prima del 1978. I musulmani etnici sono stati in prima linea negli sforzi per organizzare un contrappeso neutralista alle grandi potenze. Godfrey Jansen rileva che
senza l'Islam il movimento afro-asiatico avrebbe probabilmente fallito. E senza il movimento afro-asiatico (...) non ci sarebbe stato nessun gruppo di nazioni "non allineate" e senza quel gruppo non ci sarebbe stato il Gruppo economico dei Settantasette, il Sud sottosviluppato nell'attuale dialogo tra Nord e Sud [20].
L'idea stessa di unire America, Europa, Russia e Giappone in una sola entità, "il Nord", rivela un punto di vista musulmano.
Ma la neutralità non necessita di una precisa equidistanza dai due blocchi: proprio come il movimento dei non-allineati nel suo insieme protende più verso i sovietici, così anche i musulmani etnici. Anche se i russi hanno messo insieme il più grande impero sulla Terra, gran parte del quale è costituito da territori governati in passato dai musulmani, "l'imperialismo" è pressoché sinonimo di Europa occidentale e il "neo-imperialismo" di Stati Uniti. I musulmani non hanno dimenticato l'esperienza coloniale, né ignorano l'aiuto sovietico per le cause d'indipendenza. I musulmani etnici e i marxisti guidarono l'assalto al potere europeo all'inizio di questo secolo, oggi i membri musulmani dell'OPEC e l'Unione Sovietica rappresentano le principali minacce al benessere economico e politico dell'Occidente.
Nessun altro gruppo religioso o ideologico ha sfidato così alacremente la civiltà occidentale, né nessun altro ha osservato con altrettanto disappunto come l'Occidente prospera. Maometto si fece portavoce di un messaggio che pretendeva di sostituire il Cristianesimo e Marx pensava che le sue teorie avrebbero seppellito le economie capitaliste europee: i loro seguaci contemporanei non riescono a comprendere come la civiltà capitalista cristiana se la passi ancora molto bene. Musulmani e marxisti condivideranno questo legame di antagonismo e invidia finché l'Occidente continuerà a prosperare.
[1] Due eccezioni importanti: Guenter Lewy, Religion and Revolution (New York: Oxford University Press, 1974) and Donald Eugene Smith, Religion and Political Development (Boston: Little, Brown and Company, 1970).
[2] Per un'analisi acuta del dilemma musulmano si veda V.S. Naipaul, Among the Believers: An Islamic Journey (New York; Alfred A. Knopf, 1981).
[3] Queste cifre sono basate sull'Appendice 1 in Richard V. Weekes, ed., Muslim Peoples: A World Ethnographic Survey (Westport, Conn.: Greenwood, 1978). Ho modificato alcune delle cifre di Weekes.
[4] Wilfred Cantwell Smith, Islam in Modern History (Princeton: Princeton University Press, 1957).
[5] Studi sugli ideali islamici si trovano in E. I. J. Rosenthal, Political Thought in Medieval Islam: An Introductory Outline (Cambridge, Eng.: Cambridge University Press, 1958) e Majid Khadduri, War and Peace in the Law of Islam, 2d ed. (Baltimore: Johns Hopkins University Press, 1955).
[6] Questo è un tema centrale nel mio libro Slave Soldiers and Islam: The Genesis of a Military System (New Haven: Yale University Press, 1981).
[7] Sylvia Haim, "Introduction", in Arab Nationalism: An Anthology, ed. Sylvia Haim (Berkeley and Los Angeles: University of California Press, 1962), pp. 42, 54, 64, 66.
[8] L'unica qualità del nazionalismo arabo diventa più evidente quando si constata che coloro che parlano una vasta gamma di altre lingue come lo spagnolo, il cinese e l'inglese, non fanno tentativi analoghi di unificazione.
[9] Fouad Ajami, "The End of Pan-Arabism", Foreign Affairs, Winter 1978-79, p. 355.
[10] Per un'analisi delle attività estere di Gheddafi, si veda il mio articolo "No One Likes the Colonel", American Spectator, March 1981, pp. 18-22.
[11] Sugli sforzi sauditi a livello internazionale si veda il mio saggio "Foreign Policy: The Cautious Course", in Saudi Arabia: Beneath the Veil (Washington, D.C.: Near East Research, 1981), pp. 8-13.
[12] Questo è dimostrato dalle sue dichiarazioni. Ad esempio, si veda la raccolta tradotta da Hamid Algar, Islam and Revolution (Berkeley: Mizan, 1981).
[13] Per una spiegazione, si veda il mio saggio "Khomeini's Foreign Policy", Eight Days [London], 28 June and 5 July 1980.
[14] The New York Times, 6 January 1980.
[15] The Washington Post, 3 December 1981.
[16] Le idee di Gheddafi sono spiegate nella Seconda parte del suo Libro Verde intitolata Soluzione del problema economico: "Il socialismo" (Tripoli).
[17] Il suo Insan va Maktabha-yi Maghribzamin è stato tradotto da R. Campbell come Marxism and Other Western Fallacies: An Islamic Critique (Berkeley: Mizan, 1980).
[18] Per un nesso inatteso ma convincente tra Gheddafi e la storia intellettuale europea, si veda Sami G. Hajjar, "The Jamahiriya Experiment in Libya: Qadhafi and Rousseau", Journal of Modern African Studies 18 (1980): 181-200.
[19] Impact International [London], 27 October 1978; Jeune Afrique, 20 February 1980.
[20] Godfrey H. Jansen, Militant Islam (New York: Harper & Row: 1979), p. 96.