Hafiz al-Asad sulla copertina della rivista Time, 19 dicembre 1983. |
Dal 1979, il governo siriano ha bloccato le relazioni tra arabi e Israele perché ciò rafforza la sua posizione interna e internazionale. Damasco ha guidato attivamente l'opposizione al trattato di pace israelo-egiziano del 1979, ha lavorato contro l'accettazione da parte giordana del piano di Reagan nel 1982-1983, ha spaccato l'OLP nel 1983, quando Arafat mostrò interesse nei negoziati, e ha costretto il governo libanese ad abrogare l'accordo del maggio 1983.
La Siria ben evidenzia l'opposizione ai negoziati giordani con Israele. Ha già promesso di "usare tutte le forme di lotta per fronteggiare la politica del regime [giordano]" e minaccia di rimpiazzare re Hussein con un governo "progressista".
Damasco potrebbe ottenere così tanto perché possiede potenti strumenti di influenza. Il materiale sovietico avanzato rende le sue forze armate più forti di quelle di qualsiasi rivale arabo e le sue strette relazioni con Mosca implicano che può contare sull'appoggio sovietico. Il patrocinio di un gruppo dell'OLP da parte siriana fornisce ad Asad un mezzo per rifiutare i negoziati con Israele, mentre le forze palestinesi fanno il lavoro sporco. Le alleanze con la Libia e l'Iran pongono la Siria al centro di una triade radicale anti-americana. Inoltre, Damasco sponsorizza gran parte del terrorismo mediorientale.
I leader arabi che non condividono le politiche di Asad sanno che è intelligente e spietato. Negli ultimi anni, ha distrutto Hama, una città siriana ribelle, e ha soggiogato due terzi del Libano. Ancora più importante è il fatto che il governo siriano uccide i propri nemici, come il leader druso Kemal Jumblatt; Bashir Gemayel, presidente eletto del Libano, e Issam Sartawi, esponente dell'OLP.
Come possono re Hussein e Arafat resistere a tale potere? La monarchia giordana è fragile, le sue forze armate sono esigue, la sua popolazione è frammentata. Molto tempo fa Hussein ha imparato a sopprimere il suo desiderio di assecondare Israele in ottemperanza ai voleri siriani. Yasser Arafat è ancora più debole. L'Organizzazione per la Liberazione della Palestina è divisa, manca di una base autonoma, e ha appena subito un altro colpo durissimo a Beirut. Mentre la Giordania e l'OLP acquisiscono forza agendo insieme, non possono sfidare Damasco su una questione così essenziale come il conflitto con Israele.
L'aiuto fattivo di altri Stati arabi non equilibra il potere siriano. L'Egitto ha perso influenza quando ha rinunciato al conflitto con Israele; un governo libanese non esiste più; l'Iraq è devastato nella guerra con l'Iran; l'influenza saudita diminuisce di pari passo con le sue rendite petrolifere.
Anche con l'appoggio di tutti questi Stati, oltre a Israele e all'America, è ancora dubbio che re Hussein possa resistere alle pressioni siriane. Se il sovrano giordano firmasse con Israele, la Siria e i suoi alleati – l'Iran, la Libia, l'OLP negazionista, l'Unione Sovietica – eserciterebbero una varietà di pressioni per indurre la Giordania a tirarsi indietro. Potrebbero incitare i palestinesi residenti in Giordania a ribellarsi, a utilizzare terroristi contro i funzionari giordani, ad attaccare il confine settentrionale della Giordania e a complottare colpi di Stato. Per quanto sia allettante la prospettiva di un accordo tra Amman, l'OLP e Israele, questa impresa comporta seri rischi per re Hussein e mette in pericolo uno dei pochi governanti arabi coerentemente filo-occidentali.
Tentare di risolvere il conflitto arabo-israeliano con la Giordania è come porre fine alla corsa agli armamenti nucleari raggiungendo un accordo con la Jugoslavia. Di certo, Belgrado è più amichevole di Mosca e più suscettibile all'influenza americana; ma non prende decisioni sulle armi nucleari e non può porre fine alla corsa agli armamenti. Allo stesso modo, la Giordania non determina la posizione araba sulla guerra e sulla pace. Solo una relazione influisce decisivamente sul conflitto arabo-israeliano: quella tra la Siria e Israele. La riluttanza siriana ad accettare l'esistenza di Israele perpetua il conflitto; al contrario, se la Siria seguisse gli altri tre Paesi vicini di Israele e si rassegnasse all'esistenza di Israele, il conflitto giungerebbe rapidamente al termine. I progressi reali richiedono un cambiamento nella politica non da parte della Giordania o dell'OLP, ma da parte della Siria.