Man mano che aumenta la frustrazione per la violenza proveniente da Gaza, l'idea di un'invasione di terra per porre fine definitivamente all'aggressione di Hamas diventa più allettante. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha sostenuto l'approccio, asserendo che "probabilmente non ci sarà altra scelta che rovesciare il regime di Hamas". Pur condividendo tale approccio, temo che sia stata prestata troppa attenzione alla tattica e non abbastanza agli obiettivi. Il risultato potrebbe danneggiare il principale alleato statunitense in Medio Oriente.
L'atteggiamento nei confronti di Gaza è fluttuante. Efraim Inbar, lo stratega che dirige il Jerusalem Institute for Security Studies, è fautore da anni dell'espressione "Tosare l'erba" con cui si riassume la "strategia di Israele per un conflitto inarrestabile e irrisolvibile". Con questo motto, Inbar ha lanciato un monito occasionale ai governanti di Hamas e agli altri gaziani in merito al potere schiacciante di Israele. Questo approccio implica che Israele, quasi sempre, accetta l'aggressione da Gaza, con conseguenti danni a cose e persone. Non più tardi del maggio scorso, Inbar ha liquidato la minaccia palestinese a Israele come un "fastidio strategico".
Di recente ha poi riconosciuto gli alti costi di questa passività e ora invoca "un'invasione di terra limitata". Per quale motivo? Perché "un'offensiva di terra a breve termine porterà risultati migliori di quelli ottenuti dal modus operandi adottato finora da Israele [ossia "tosare l'erba"]. Dobbiamo agire all'interno del territorio nemico, localizzarli e distruggerli, o legare le mani dei suoi membri".
Anche altri concordano. Ad esempio, Ayelet Shaked, leader del partito Nuova Destra, chiede un'operazione militare su larga scala a Gaza: "Dobbiamo scegliere il momento migliore per noi, evacuare i cittadini israeliani che vivono nelle città lungo la Striscia di Gaza, dandoci la massima flessibilità e dobbiamo sradicare il terrorismo all'interno di Gaza".
A queste analisi rispondo con un semplice ma fondato consiglio di Carl von Clausewitz: innanzitutto, occorre stabilire quale politica adottare, poi delineare la strategia e quindi le tattiche. Oppure, in parole povere: occorre iniziare a capire cosa si vuole, per ottenerlo con l'uso della forza, quindi definire le linee generali dell'approccio e infine i mezzi specifici.
Visto in questa ottica, dibattere sull'opportunità di intraprendere un'invasione di terra e rovesciare Hamas significa valutare una tattica; e questo non dovrebbe essere l'argomento della conversazione fino a quando non saranno stati decisi l'obiettivo e i mezzi per conseguirlo. Iniziare concentrandosi sulle tattiche, si rischia di perdere di vista lo scopo.
Pertanto, quale dovrebbe essere l'obiettivo di Israele a Gaza?
La dimostrazione occasionale di forza contro gli interessi di Hamas è fallita, così come la distruzione delle infrastrutture di Gaza; e così anche l'opposta politica di buona volontà e la prospettiva di prosperità economica. È tempo di qualcosa di completamente diverso, di un obiettivo che va oltre l'invio di segnali e la punizione dei misfatti, qualcosa di molto più ambizioso.
La vittoria è un obiettivo da perseguire: mira a imporre un senso di sconfitta agli abitanti di Gaza, dai capi di Hamas al più umile spazzino. Puntare a una vittoria israeliana è del tutto in linea con gli scopi bellici storici, ma non è al passo con i nostri tempi, quando perfino vocaboli come vittoria e sconfitta sono scomparsi dal lessico occidentale della guerra. L'establishment della sicurezza di Israele cerca solo pace e tranquillità nei confronti dei palestinesi: Efraim Inbar parla a loro nome quando definisce l'obiettivo della vittoria su Hamas come "ingenuo".
Negoziati, mediazione, compromesso, concessioni e altri mezzi morbidi hanno rimpiazzato la vittoria. Sono termini che suonano bene, ma dal 1993 hanno fallito nell'arena israelo-palestinese e insistere ciecamente su di essi assicura più distruzione e morte.
Se l'obiettivo è imporre una sensazione di sconfitta ai gaziani, qual è la strategia e quali sono le tattiche? Queste non possono essere decise in anticipo. Richiedono uno studio coevo e dettagliato della psicologia della popolazione di Gaza. Le domande a cui occorre rispondere potrebbero essere:
- La privazione di cibo, acqua, carburante e di farmaci in rappresaglia per gli attacchi contro Israele ispira un senso di resistenza (muqawama) e di fermezza e determinazione (sumud) tra i gaziani oppure piega la loro volontà?
- Stessa domanda sulla distruzione di case, edifici e infrastrutture. Eliminare la leadership di Hamas paralizzerebbe la popolazione o provocherebbe una rivolta.
L'establishment della sicurezza di Israele deve analizzare questi e altri aspetti connessi, per delineare una solida strategia e fornire una guida sicura alla leadership politica. Fatto questo, con la vittoria come obiettivo, Israele potrà finalmente affrontare il problema finora insolubile di Gaza.