Daniel Pipes, ex docente a Harvard e all'Università di Chicago, storico, scrittore, giornalista, fondatore e presidente del think tank Middle East Forum, è una delle figure più influenti del panorama politico-intellettuale americano. Consigliere politico di Rudolph Giuliani per le presidenziali del 2008, ha scritto numerosi libri, i più dedicati all'Islam e al Medioriente.
Caratteri Liberi lo ha intervistato in esclusiva.
Professor Pipes, nell'aprile 2018, il presidente Trump annunciò la sua intenzione di ritirare il contingente americano dalla Siria, ma non accadde nulla. Alcuni funzionari di alto rango dell'Amminstrazione fecero capire che le truppe sarebbero rimaste. Il 19 dicembre Trump ha annunciato il loro ritiro. Che spiegazione dà a questa decisione?
E' il risultato dell'intuizione e dell'istinto. Trump si è spinto molto avanti basandosi su queste qualità a cui dà più credito rispetto ai sondaggi o agli esperti. Agisce in modo inusuale sulla base di decisioni impulsive.
C'è una motivazione politica dietro la decisione di Trump, per esempio ingraziarsi i sostenitori del "Make America Great Again" i quali vogliono un ritiro degli Stati Uniti dal resto del mondo?
Non credo. Piuttosto il suo temperamento isolazionista recalcitra dall'essere coinvolto, per citare Neville Chamberlain in merito alla crisi cecoslovacca, nel 1938, "in una disputa in un paese lontano tra persone di cui non sappiamo nulla". O, per citare direttamente Trump, "Siamo presenti in tutto il mondo. Ci troviamo in paesi dei quali la maggioranza delle persone non conoscono nemmeno l'esistenza. Onestamente, è una cosa assurda".
Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, in settembre, a proposito della Siria, dichiarò, "Non lasceremo il paese fintanto che le truppe iraniane si troveranno fuori dai confini dell'Iran e questo include i delegati dell'Iran e le sue milizie". Ritiene che Bolton sia il prossimo in fila a dare le dimissioni?
No. Per Bolton, lavorare per Trump significa avere raggiunto molti obbiettivi. Se ciò significa sopportarne la capricciosità e l'incoerenza, lo farà.
Efraim Inbar ha sottolineato che sia l'Amministrazione Obama che quella Trump si sono ritirate in maniera significativa dal Medio Oriente e vede l'indebolimento americano regionale riflesso dal fatto che la Sesta Flotta non detiene più una portaerei nel Mediterraneo. Ha ragione?
Sì. Tra l'antipatia di sinistra da parte di Obama nei confronti del potere americano e l'atteggiamento isolazionista di Trump, il potere militare americano è declinato molto da quello che era dieci anni fa.
Lasciare la Siria nelle mani della Russia, dell'Iran e della Turchia, aiuta gli interessi americani?
Porre questa domanda significa averle già dato una risposta.
Vi sono resoconti che indicano che durante una telefonata del 14 dicembre con il presidente turco Erdogan, quest'ultimo abbia messo in discussione l'utilità di una prolungata presenza americana in Siria, dicendo a Trump che potrà gestire lui facilmente la minaccia rappresentata dall'ISIS. Felice di andarsene Trump ha accettato di buon grado l'offerta di Erdogan. Lo ritiene credibile?
Molto credibile, specialmente quando si tiene presente la strana attrazione di Trump nei confronti dei dittatori.
La decisione di ritirare le truppe americane dalla Siria che implicazioni ha per i curdi?
La presenza di un solo soldato americano significava che il governo turco non avrebbe osato attaccare una regione controllata dai curdi. Con l'uscita delle truppe americane, i turchi possono fare il loro ingresso, a meno che Putin non gli dica di non farlo, preferendo che al loro posto facciano il loro ingresso gli iraniani. In ogni caso le aree controllate dai curdi appaiono condannate.
Che rilevanza ha, per Israele, il ritiro del contingente americano?
Non molta. La Siria dell'Est è piuttosto lontana da Israele. L'insieme di un controllo siriano, turco e iraniano sopra la regione non avrà un effetto rilevante sullo Stato ebraico.
Tuttavia, Yossi Kuperwasser, l'ex capo della Divisione di Ricerca dell'IDF, vede il ritiro americano e il conseguente completo controllo da parte di Assad e dell'Iran sulla Siria come una facilitazione per il trasporto di armi dall'Iran alla Siria e al Libano, e "non ci sarà niente che lo impedirà"
Vero. L'accesso iraniano alla Siria e al Libano verrà facilitato ma Teheran non ha avuto alcun problema a raggiungere entrambi i paesi negli ultimi quaranta anni, da quando è cominciata la sua alleanza con il regime di Assad nel 1979.
Che tipo di strategia americana vorrebbe vedere in atto in Medioriente e specificamente in Siria?
Per prima cosa, il governo americano, dovrebbe stare a fianco dei suoi alleati contro i suoi nemici e essere consapevole di chi sono i primi e di chi sono i secondi, cosa che tristemente non avviene al presente nel caso della Turchia e del Qatar, per seconda cosa riconoscere che l'islamismo è la più pericolosa ideologia totalitaria presente oggi nel mondo e per terza cosa lavorare con i dittatori utili esercitando su di loro la dovuta pressione affinché si aprano alla partecipazione politica.