Per gentile concessione del settimanale L'Espresso
Cinquantatré anni, storico dell'Islam, esperto di movimenti terroristici del Medio Oriente, Daniel Pipes è una delle figure più controverse del panorama politico Usa. Pur essendo considerato un falco dall'establishment democratico e dai rappresentanti del movimento per la pace, Pipes fa parte dello United States Institute for Peace.
Si aspettava l'attacco di Madrid?
«È stata una sorpresa. L'attentato dimostra che Al Qaeda è diventata la mente pensante dell'estremismo islamico internazionale che si sta spostando in direzione del terrorismo».
Ma perché attaccare la Spagna e non direttamente gli Stati Uniti?
«È la strategia della terra bruciata: colpire gli alleati Usa per costringerli a ritirarsi dall'Iraq e isolare gli Stati Uniti».
Qual è l'obiettivo?
«Una perdita di fiducia da parte degli Stati Uniti, il loro ritiro dall'Afghanistan e dall'Iraq, e la presa di distanza da Israele. L'opinione pubblica Usa ha un peso enorme sulle decisioni del presidente e se cambia l'atteggiamento degli americani verso la guerra, cambia anche la strategia del governo. Al contrario degli europei, gli americani sono per natura isolazionisti. Se la manovra di Al Qaeda riesce, gli Usa prenderanno di nuovo le distanze dal resto del mondo».
Alcuni giornali Internet scrivono che Al Qaeda conta in Europa tra i 20 e i 50 mila militanti. Le pare possibile?
«È esagerato. I fatti di Madrid confermano che Al Qaeda svolge soprattutto un ruolo finanziario e di ispirazione politico-morale. La pianificazione delle azioni militari è in mano ai gruppi locali. I membri di Al Qaeda saranno un centinaio, ma la loro capacità di egemonia è enorme. Attraverso Al Qaeda, i gruppi locali del terrorismo islamico vengono lanciati nel firmamento politico internazionale. Ciò rende pericoloso il movimento e divide le forze occidentali che devono inseguire uno, cento, mille capi terroristici».
Una specie di depistaggio?
«Esattamente. Ma io penso che continuare a focalizzarsi su Al Qaeda sia comunque un errore. Bisogna guardare al terrorismo islamico come a un movimento ideale, una sorta di neofascismo o neocomunismo che si va sviluppando in quella regione. Preoccuparsi di alcune migliaia di militanti è riduttivo. Nel mondo ci sono oltre un miliardo di musulmani e il 10-15 per cento simpatizza con la causa del radicalismo islamico. Quanti sono disposti a seguire le direttive di Al Qaeda? Non lo sappiamo. Nell'Unione Sovietica i comunisti erano milioni, ma quanti di questi seguivano fino in fondo le direttive del partito?».
Come si vince questa guerra?
«Se ci si limita al lato militare non si riesce a batterlo. Bisogna attaccarlo sul piano delle idee e dello stile di vita, come facemmo col comunismo, conquistando il cuore e la mente dei giovani. Bisogna aiutare quella parte di Islam che vuole muoversi verso il futuro e non regredire nel passato. Il terrorismo islamico è un fenomeno di lunga durata che non scompare con l'avvento dei socialisti in Spagna, o magari di John Kerry alla Casa Bianca a novembre».