Mentre il processo di pace in Medio Oriente rischia di essere compromesso, cosa ne pensano gli americani di Israele e dei palestinesi? In un sondaggio commissionato dal Middle East Quarterly e realizzato da Arthur J. Filkelstein Associates il 16-18 settembre, un migliaio di elettori iscritti alle liste elettorali hanno risposto a più di venti domande su questo e altri argomenti. Il sondaggio ha osservato tutti i metodi appropriati per trovare un mix imparziale di elettori e tracciare un ritratto equilibrato dell'opinione pubblica americana. Il risultato offre non solo uno sguardo approfondito sui punti di vista degli americani ma mostra anche un appoggio deciso a Israele e un ripudio altrettanto chiaro di Yasser Arafat e dei palestinesi.
Chi vuole maggiormente la pace? Con una proporzione di circa 4 a 1 (il 47 per cento contro il 13 percento, con un margine di errore del 3 per cento), gli americani ritengono che Israele sia la parte più seria nel tentativo di risolvere il conflitto. Con una proporzione di 3 a 1 (il 63 per cento contro il 20 per cento), essi vanno oltre e prevedono che i palestinesi continueranno a compiere atti terroristici, anche dopo la creazione di uno Stato palestinese. In altre parole, una maggioranza schiacciante di americani sostiene che i palestinesi non saranno contenti di ottenere la loro sovranità ma continueranno a combattere fino a quando non realizzeranno l'obiettivo di distruggere Israele.
Altrettanto importante è il forte appoggio al premier israeliano Binyamin Netanyahu. Pur essendo ampiamente deriso dai media americani che lo dipingono come un "intransigente" e anche come un "estremista", l'opinione pubblica americana lo vede assai più di buon occhio rispetto al ben più noto Yasser Arafat. In un confronto testa a testa, Netanyahu è considerato più filo-americano (il 27 per cento contro il 5 per cento) e più ammirevole (il 17 per cento contro il 5 per cento) di Arafat.
Chi è più collegato al terrorismo? Otto volte di più gli americani puntano il dito contro Arafat che contro il premier israeliano (il 40 per cento contro il 5 per cento). Quando è stato loro chiesto di associare i due uomini, gli americani hanno maggiormente collegato Netanyahu al processo di pace e Arafat al terrorismo.
Alla domanda più generica di tutte, 'Per chi nutri più simpatia: per i palestinesi o per gli israeliani?' gli americani hanno detto di preferire Israele con una proporzione di 4 a 1 (il 48 per cento contro il 12 percento). Questo è tipico di uno schema che va avanti da decenni: ad eccezione dei momenti di crisi, quando le cifre potrebbero essere molto oscillanti, la simpatia mostrata – con una proporzione di circa 4 a 1 – è a favore di Israele. A coloro che ravvisano una graduale disaffezione degli americani dallo Stato ebraico, queste cifre offrono una prova imperativa contraria.
Forse il risultato più eclatante del sondaggio riguarda il futuro status di Gerusalemme. Nel dibattito politico, Gerusalemme occupa un posto unico, perché tocca corde puramente emotive. La sovranità sul Monte del Tempio non fornisce alcun beneficio diplomatico, commerciale o strategico. Che Israele da solo controlli la città o che lo faccia insieme ai palestinesi influisce poco sugli interessi nazionali americani. Piuttosto, la questione tocca alcuni dei loro più profondi sentimenti religiosi e attraverso questi la loro vera identità e il senso di sé.
Stando così le cose, è molto rivelatore il fatto che il nostro sondaggio rilevi che gli elettori americani approvano l'esclusivo controllo israeliano di Gerusalemme con una proporzione di circa 3 a 1 (il 60 per cento contro il 22 per cento). Questo risultato mostra un impegno emotivo da parte degli americani non solo per la sopravvivenza dello Stato ebraico ma per l'attuazione dei suoi obiettivi sionisti.
La visione che sta dietro queste cifre pone l'opinione pubblica americana esattamente in contrasto con l'amministrazione Clinton – che ha costantemente assunto posizioni molto più favorevoli ai palestinesi su una vasta gamma di questioni (tra cui il futuro di Gerusalemme, il terrorismo e la reputazione di Arafat). Stando così le cose, non sorprende che il nostro sondaggio rilevi che l'opinione pubblica sia molto più scettica riguardo alla politica sul Medio Oriente (il 56 per cento dice che è carente o mediocre, e il 38 per cento sostiene che è buona o eccellente) che in merito all'operato di Clinton in generale.
E infine, occorre notare che queste sono le opinioni di un elettorato interessato. Sei intervistati su nove hanno detto di tenersi informati su Israele e sul Medio Oriente; ancor più impressionante è che uno su nove legge "molto" riguardo alla regione. I politici possono ben dire che la politica estera ha perso il suo peso politico, ma sembra continuare a rivestire interesse quando è coinvolto il Medio Oriente.
Questi punti di vista implicano che spingere il governo israeliano a fare concessioni ai palestinesi, come è disposta a fare l'amministrazione Usa, non è solo un errore diplomatico ma anche una follia politica.