Bellamy trasuda autocompiacimento per tutta la sua carriera, e soprattutto dopo aver ricevuto l'incarico di inviato della Difesa per il quotidiano londinese The Independent nell'aprile 1990. La boria reca in sé l'effetto spiacevole di riempire la trama di questo volume di una moltitudine di dettagli inutili sull'autore, sul suo quotidiano, sui suoi viaggi e altre minuzie.
Ma andando oltre questo autocompiacimento la narrazione ripaga di tutti gli sforzi. Come storico militare che ha assistito direttamente alla guerra del Kuwait, Bellamy fornisce molti spunti utili e interessanti. Per cominciare, egli considera questa guerra tanto uno scontro finale di un tipo (azioni/operazioni pianificate) quanto il primo di un altro tipo (spesso è chiamata la "guerra dei computer", per l'impiego di armi avanzate, N.d.T.). L'autore la definisce "una guerra di coalizione senza precedenti", in parte perché sono stati alla fine raggiunti gli obiettivi [della dottrina] del potere aereo prestabiliti da Douhet e Mitchell negli anni Venti. Bellamy mostra la qualità straordinariamente cerebrale dello sforzo degli alleati e argomenta che "gli alleati hanno vinto grazie alle capacità mentali". L'autore fa ricorso alla sua conoscenza storica per osservare che questa guerra ha sancito il ritorno all'armatura per la prima volta dal diciassettesimo secolo. Egli arguisce che la guerra del Golfo segna, forse, "il ritorno alla guerra limitata, anche se essa è stata combattuta con 'mezzi illimitati'". Queste osservazioni importanti contribuiscono a porre i combattimenti nel loro appropriato contesto e forniscono dei risvolti su cui rimuginare prima che esploda il prossimo ciclo di violenza.