Ann Elizabeth Mayer, un'esperta giuridica presso la Wharton School, ha scritto un attacco pacato ma pungente contro l'idea che il relativismo culturale si applichi ai diritti umani. L'autrice lo fa mettendo a confronto la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, oltre ai documenti correlati, con una selezione di sedicenti equivalenti islamici: la costituzione iraniana del 1979, una proposta del 1979 dell'Islamic Research Academy del Cairo, la Dichiarazione islamica universale dei diritti umani del 1981, così come le proposte presentate da intellettuali come Sultan Husayn Tabanda e Abu'l A'la Mawdudi.
Il risultato è pura devastazione. La Mayer mostra come i tentativi musulmani siano debolmente legati all'Islam e disinteressati alla libertà individuale. "Piuttosto, essi danno priorità all'obiettivo di giustificare la repressione governativa, di tutelare e promuovere la coesione sociale e di perpetuare le gerarchie tradizionali nella società, il che comporta un trattamento discriminatorio delle donne e dei non-musulmani". I dissidenti e gli attivisti per i diritti umani liquidano costantemente le edulcorate alternative "islamiche" come mezzi di repressione e guardano ai codici universali come fonte di ispirazione.
Ma non è così, accusa la Mayer, per gli accademici occidentali che considerano "vietata" una valutazione critica di questo argomento, convinti come sono che ciò promuova i pregiudizi occidentali e impedisca la comprensione di una società straniera. Non solo questo atteggiamento condiscendente condanna le popolazioni musulmane a vivere sotto i regimi il cui operato riguardo ai diritti umani va dal "mediocre all'atroce", ma esso rende altresì questi accademici alleati dei dittatori, dei loro servizi di sicurezza e dei loro profondi disaccordi giuridici. Con la comparsa di questo libro coraggioso, non sentiremo più parlare di eccezionalismo islamico in materia di norme universali dei diritti umani.