Sedici accademici famosi, tutti palestinesi e israeliani tranne uno, parteciparono nel 1994 a un convegno presso la Hebrew University e questo volume rievoca le loro considerazioni. Il libro desta molta attenzione perché, con solo qualche eccezione (i bei capitoli di Hillel Frish, Galia Golan, Meir Litvak, Shaul Mishal, Barry Rubin), una delle principali istituzioni israeliane ha pubblicato un documento che a tutti gli effetti funge da propaganda palestinese. In esso viene rappresentato il pensiero elitario di Israele.
L'apologetica comincia nel sottotitolo, dove si presume che il principale interrogativo che fa innervosire la vita pubblica israeliana (i negoziati con i palestinesi portano o no alla pace?) sia chiaro ( ovviamente lo è). E questa apologetica continua nell'introduzione di Sela, dove l'autore ritiene che l'Olp dopo il 1967 fosse "una vera organizzazione nazionale palestinese", parla di "un'intransigente ostilità israeliana" verso l'Olp (ma non dell'ostilità dell'Olp verso Israele) e adotta la terminologia dell'Olp usando termini come "rivoluzione palestinese".
Da qui il rullo dei tamburi va avanti. Muhammad Muslih descrive minuziosamente in modo pedante "le numerose iniziative di pace" dell'Olp intraprese fra il 1974 e il 1988. Il capitolo di Manuel Hassassian sui cambiamenti avvenuti nell'Organizzazione per la liberazione palestinese nei trent'anni che vanno dal 1964 al 1994 è sottotitolato "una democrazia in divenire". I curatori ci assicurano che l'Olp ora "aderisce alle norme di legittimità internazionale". Eyad El Sarraj descrive il "tipo di estasi" indotto dall'Intifada. E Baruch Kimmerling ravvisa nell'elezione di Binyamin Netanyahu la prova che gli ebrei israeliani non erano "maturi" per "un ragionevole accordo" con i palestinesi.