Anche se l'evidente argomento del volume è Gaza, le emozioni della Roy si risvegliano quando l'argomento è Israele. Il governo israeliano, scrive l'autrice, "ha tentato di privare i palestinesi del loro patrimonio politico e culturale attraverso l'espropriazione diretta delle loro risorse economiche". Così intenso è il suo odio per le cose israeliane che la Roy ritiene che il linguaggio normale sia inadeguato. Piuttosto, l'autrice riprende arcaismi (la sua occupazione militare del 1967 è stata "malefica") e neologismi (la sua politica a Gaza è stata di "de-sviluppo", un termine da lei coniato che sta a significare "la distruzione deliberata e sistematica di un'economia autoctona da parte di un potere dominante"). Anche quando gli israeliani fanno qualcosa di giusto, come ad esempio finanziare la crescente coltivazione di garofani a Gaza, la Roy ritiene che i palestinesi abbiano "subito delle perdite considerevoli", a causa dei capricci della società di marketing israeliana. Quanto alla Dichiarazione dei Principi, meno si dice e meglio è: l'autrice scrive che quest'accordo "non modificherà il rapporto tra occupanti e occupati, ma solo la sua forma".
Quando i simpatizzanti palestinesi come la Roy liquidano Yasser Arafat come un traditore dei propri principi per aver firmato la Dichiarazione dei Principi, ciò induce a pensare che essi siano meno interessati al benessere palestinese preferendo piuttosto cogliere l'opportunità per sfogare il proprio malumore contro lo Stato ebraico. Sfoggi accademici a parte, questo sembrerebbe essere un libro il cui scopo primo e ultimo è screditare Israele.