Il dr. Pipes è stato intervistato dal direttore di Citizen Andrew Potter sulle minacce emergenti lanciate contro Israele, sulla condizione del corpo accademico americano e sui problemi con il radicalismo islamico.
Lei domani sarà a Ottawa per parlare della "minaccia all'esistenza di Israele perché c'è una recrudescenza e come affrontarla". Può dirmi qual è o quali sono ora le minacce all'esistenza di Israele?
Beh, sono senza fine. Si va dalla minaccia di un annientamento nucleare, agli attacchi militari convenzionali, agli embarghi economici, alla sopraffazione demografica, alla demolizione ideologica – ogni tipo di minaccia possibile e immaginabile, dalla più violenta alla più politica, le minacce a Israele sono una vasta gamma.
Credo che ciò non sia solamente eccezionale per uno stato esistente, ma che lo sia per ogni paese che si trovi in una situazione del genere.
Lei ha parlato di annientamento nucleare. Immagino che si riferisca principalmente alle minacce provenienti dall'Iran?
Esatto. Inoltre, i siriani stanno costruendo un arsenale di armi chimiche; altri costruiscono armi biologiche, quindi ogni tipo di armi di distruzione di massa – non solo nucleari.
Da molto tempo, gli Sati Uniti sono il garante supremo dell'esistenza di Israele. E qualcuno – Norman Podhoretz, ad esempio – pensa che George Bush non lascerà la carica con l'Iran in possesso di una bomba nucleare o nelle condizioni di poterne avere una. Lei spera che sia così?
Innanzitutto, non vedrei questa decisione unicamente nell'interesse di Israele. Ci sono molti altri motivi per i quali il governo americano non vuole un Iran nucleare. Tendo, però, a pensare che George W. Bush non lascerebbe la carica con tale questione in sospeso; sì, egli vorrebbe che sia risolta in qualche modo.
E quindi lei sarebbe favorevole a bombardare o a invadere l'Iran?
Penso che se dovessi scegliere tra un Iran in possesso di armi nucleari e la possibilità di distruggere quelle armi, sarei favorevole alla seconda opzione.
Poiché l'America ha un interesse generale a non vedere l'Iran o la Siria in possesso della bomba nucleare, lei spera che John McCain o uno dei candidati democratici difenda a spada tratta quest'obiettivo?
Beh, McCain è stato molto chiaro su quest'argomento. Uno o due anni fa egli fece una famosa dichiarazione asserendo che la sola cosa peggiore di un attacco all'Iran è un Iran in possesso di armi nucleari. Pertanto, ha assunto una posizione molto chiara. I democratici non l'hanno fatto; essi hanno lasciato la questione molto aperta.
Lei ha scritto che ci sono delle prove evidenti del fatto che Barack Obama sia stato un musulmano che non praticava regolarmente e che di tanto in tanto si recava a pregare in moschea con il suo patrigno. Che importanza ha questo per la sua candidatura alla presidenza?
Ciò ha due implicazioni. La prima è che questo cambierà il modo in cui molti musulmani lo guarderanno, se lo considereranno come qualcuno che abbandona l'Islam e che è un apostata. E in secondo luogo, ciò avrà delle ripercussioni importanti sulla sua sincerità. Non sto dicendo che credo alle voci secondo le quali egli oggi sia un musulmano. E non do nemmeno interamente credito al fatto che egli sia un cristiano praticante – il mio obiettivo è storico. Non sarei andato a frugare nella sua infanzia se lui non si fosse candidato alla presidenza.
A parte la minaccia nucleare verso Israele, lei parla di embarghi economici, di guerra ideologica e così via. In passato, lei ha scritto che uno dei principali veicoli di queste minacce sono gli intellettuali americani, soprattutto il corpo accademico. Poiché sono trascorsi circa cinque anni da quando Campus Watch ha iniziato a lavorare su quest'argomento, crede che ci sia stato qualche progresso su questo fronte?
Ebbene, innanzitutto, Campus Watch non concentra la sua attenzione su Israele, ma muove delle critiche sugli studi mediorientali in generale. Che ne penso io di Campus Watch a cinque anni dalla sua creazione? Beh, noi abbiamo due obiettivi: uno a breve termine e l'altro a lungo termine. Il primo consiste nel migliorare il dibattito sulle questioni del Medio Oriente; spostarlo al centro, l'ha reso meno politicizzato, più tollerante dei differenti punti di vista.
Direi che c'è stato qualche miglioramento importante, seppur limitato, ed io mi attribuisco il merito di ciò. Il problema a lungo termine è che ci sia equilibrio nel corpo accademico. E al momento, pur avendo ottenuto qualche successo qua e là, nell'insieme, non abbiamo avuto molto impatto.
Possiamo parlare un po' dell'Islam radicale? Lei ha scritto che "Il nemico non è l'Islam ma l'islamismo" e "noi abbiamo bisogno di sradicare le varianti dell'Islam". Che cosa rende l'islamismo o l'Islam radicale una minaccia a differenza del cristianesimo radicale o del giudaismo radicale?
Preferisco non fare alcun paragone tra l'Islam radicale e le altre forme radicali di altre religioni. Non credo che ci siano le basi per dei paragoni. Non esiste un movimento ideologico radicale cristiano – è pura fantasia.
Al contrario, penso che ci sia un vero legame fra l'Islam radicale e il fascismo e il comunismo – e ritengo che esso sia un movimento totalitario autoctono che ha una base più religiosa rispetto agli altri. Non è un movimento occidentale, ha molte differenze significative, ma per le sue aspirazioni a dominare il mondo, per la sua natura totalitaria, per la sua brutalità è molto più simile al fascismo e al comunismo rispetto a ogni altro fenomeno religioso.
Qualcuno, come Christopher Hitchens e Richard Dawkins, ha di recente argomentato che il credo religioso è di per sé il problema e che schierarsi con i moderati è un rischio. Immagino che lei non sia d'accordo e che pensa che si possano utilizzare i moderati come nostri alleati.
A mio avviso, i moderati sono assolutamente essenziali, perché fondamentalmente occorre una posizione alternativa dell'Islam, un'altra spiegazione di ciò che significa essere un musulmano, per ingaggiare battaglia con gli islamisti.
Non possiamo combattere contro qualcosa con nulla in mano. E i musulmani moderati possono rappresentare quest'alternativa. Se però li escludiamo, rinunciando a loro, e asserendo "anche loro fanno parte del problema", chi resta?
Questo è ciò che dico alla gente che sostiene che non esistono i musulmani moderati, perché il problema è l'Islam stesso. Ebbene, supponiamo che essi abbiano ragione e dopo? Uno stato laico come può sopravvivere a questo scontro? Quali sono gli strumenti che ci rimangono? Quindi, anche se si crede che l'Islam stesso sia il problema, questo ci lascia senza martello, senza strumenti, senza nessuna alternativa.
E allora che fare, ucciderli tutti? Non c'è una politica che abbia senso. Ho detto questo a un certo numero di persone che sostenevano che l'Islam fosse unicamente il problema.
Alla fine, essi – per quanto riluttanti – sono stati costretti a pensare che dobbiamo cercare di trovare qualche altra versione di Islam da promuovere.
Sono rimasto colpito da un suo pezzo pubblicato nell'autunno scorso sulla finanza islamista, in cui lei sostiene che essa ha un peso economico trascurabile ma che pone un serio pericolo politico. E allora mi chiedo, non si potrebbe dire che la finanza islamista è, di fatto, uno di quegli strumenti necessari per l'integrazione e per cooptare i musulmani moderati introducendoli nell'economia mondiale?
Beh, le origini della finanza islamica risalgono agli anni Trenta in India, quando un importante islamista ideò l'economia islamista per separare i musulmani dagli indù. Tuttavia, il suo intento iniziale non era l'integrazione ma la separazione, ed io penso che gli effetti si siano fatti sentire da allora.
Non esiste l'economia islamica; si tratta solamente di normali strumenti finanziari riconfezionati, creando divisioni che altrimenti non sarebbero esistite.
Credo che le implicazioni politiche siano negative e che esse siano fonte di separazione.