In un popolare discorso della scorsa settimana, il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha apparentemente fatto una plateale inversione di marcia. Ma chissà come valutare questo cambiamento.
Sharon ha annunciato che alla road map, un piano americano che prevede che i negoziati tra Israele e i palestinesi portino a un accordo, non rimangono che "alcuni mesi" di vita. Se "i palestinesi continueranno ancora a non assolvere il loro compito nell'ambito della realizzazione della road map," ha ammonito il Primo Ministro, "Israele comincerà a provvedere alla sicurezza unilaterale annullando gli impegni coi palestinesi".
Questo "Piano di Disimpegno," egli ha spiegato, includerà "il re-dislocamento dell'esercito israeliano lungo nuove linee di sicurezza e un mutamento nella distribuzione degli insediamenti" per ridurre il numero degli israeliani che vivono in mezzo ai palestinesi. La sicurezza verrà garantita "dall'esercito israeliano, da recinzioni e da altri ostacoli fisici".
Probabilmente l'elemento più sorprendente di questo discorso – giacché è fortemente in contrasto con le idee di lunga data di Sharon – è stata la dichiarazione riguardo i civili israeliani che vivono in Cisgiordania e a Gaza: "Non vi sarà alcuna linea di costruzione oltre a quella già esistente, né espropriazioni di terre o speciali incentivi economici, e non si provvederà nemmeno a costruire nuovi insediamenti".
Sebbene sia stato presentato con cura, in modo energico e perfino un po' bellicoso, il Piano di Disimpegno manda tre messaggi disfattisti:
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Il terrorismo palestinese funziona. Nonostante proseguano gli atti e i tentativi di violenza ai danni degli israeliani (24 attacchi suicidi sono stati sventati solo dal 24 ottobre 2003), il piano soddisfa alcune esigenze fondamentali per i palestinesi: maggiori territori controllati dall'Autorità Palestinese, la rimozione dei blocchi stradali a protezione degli israeliani e lo smantellamento di alcune abitazioni ebraiche in Cisgiordania e a Gaza. Sharon sembra essere fiducioso che le concessioni rabboniranno la bestia.
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Israele è in ritirata. Sharon ha presentato il suo piano come fosse un ultimatum per i palestinesi, ma, per quanto sia stato fattivamente celato, il suo contenuto è una capitolazione. Secondo Ziad Abu Amr, uno studioso e politico palestinese, sebbene i palestinesi radicali assistano al dibattito in Israele, illustrino e si rendano conto delle concessioni che sono state loro offerte, "non ritengono che si tratti di un favore da parte del governo Sharon, ma lo considerano una conseguenza della loro lotta".
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Gli israeliani hanno paura. Gli ostacoli passivi – i muri, i blocchi stradali, le zone demilitarizzate, etc. – posseggono l'utilità tattica di ridurre gli incidenti e di delimitare il territorio. Ma a livello strategico sono inutili; incapaci di risolvere il conflitto israelo-palestinese. Nessuna recinzione, per quanto alta possa essere, per quanto scavata in profondità, elettrificata e monitorata, è in grado di vincere una guerra. Al contrario, costruire un muro implica rannicchiarsi dietro di esso, nella speranza che il nemico non colpisca. E il ripararsi è indice per i palestinesi del trovarsi in una posizione di vantaggio e che Israele è sulla difensiva.
Valutato per quello che sembra, il discorso di Sharon equivale a un errore di primaria importanza; la sua linea politica disfattista ha avuto effetto, spronando i palestinesi a una maggiore violenza e ritardando in tal modo la risoluzione del conflitto arabo-israeliano.
Ma ciò significa valutare questo discorso come veritiero. Consideratemi scettico riguardo a ciò che Sharon voglia realmente dire, dal momento che questo contraddice duramente le sue idee risapute, ad esempio, sulla necessità di Israele di avere il controllo della Cisgiordania. (Nel 1998, quando era ministro degli esteri, spinse gli israeliani a "conquistare ancora più colline, a estendere il territorio. Ogni cosa conquistata, rimarrà nelle nostre mani. Ogni cosa che non conquistiamo rimarrà nelle loro mani"). "Il discorso della scorsa settimana sembra riflettere gli imperativi momentanei, e non gli obiettivi di lungo termine.
Il che rivela che Sharon, da Primo Ministro, ha una duplice audience: i palestinesi che egli vuole convincere del fatto che la violenza ai danni degli israeliani sia controproducente e si serve di dure rappresaglie contro il terrorismo per ottenere ciò; il pubblico israeliano e il presidente Bush con cui vuole essere in buoni rapporti, dando dimostrazione di essere diplomatico.
Non è stato semplice, mantenere al contempo questa duplice linea di condotta più o meno contraddittoria: Sharon ci è riuscito tramite una performance virtuosa di azioni ben ponderate combinate a concessioni modificabili.
Non pretendo di sapere cosa passi nella mente del Primo Ministro – e lui non me lo dice – ma ho il sospetto che questo discorso della scorsa settimana equivalga ancora a un'altra concessione, stavolta rivolta a un pubblico israeliano che esige qualcosa di più attivo e di più immediato della penosamente annosa politica di deterrenza. Sharon, un accorto politico che sa quando deve piegarsi, ha delineato un piano che penso abbia poca voglia di realizzare.