La Yadlin sostiene che la firma di un trattato di pace tra il Cairo e Tel Aviv ha spinto gli intellettuali a spostare il conflitto con Israele dal livello politico a quello culturale. E un attacco culturale contro Israele, che lo si volesse o no, ha implicato un ricorso agli antichi miti dell'antisemitismo. In una densa analisi degli scritti tratti dalle principali pubblicazioni dell'etablishment e della stampa dell'opposizione, l'autrice punta a una serie di temi ricorrenti: l'Ebraismo è una religione carente, gli ebrei sono cattivi e Israele è uno Stato illegittimo. La reale esistenza di uno Stato ebraico sovrano compromette il futuro dell'Islam; le politiche di questo Stato sono irrilevanti e la sua esistenza è il problema reale. Ebrei e musulmani sono impegnati in una guerra di distruzione a oltranza, la pace è un rapporto innaturale tra Egitto e Israele. La ricerca della Yadlin mostra altresì che lo spirito fascista è radicato negli antisemiti egiziani parimenti ai loro omologhi europei; frasi come "Il mondo rispetta solo il forte anche se le sue mani sono intrise di sangue" sono molto comuni nella prestigiosa stampa egiziana.
Il principale dato emerso da queste idee è semplice: il sionismo è l'essenza dell'Ebraismo. Di conseguenza, l'antisionismo si fonde nell'antiebraismo. Come l'autrice sostiene, "Ebrei e sionisti, Ebraismo e sionismo s'intrecciano nella scrittura; gli israeliani sono ovviamente ebrei, e l'antica storia ebraica è, logicamente, sionista". (In effetti, "il complotto sionista" presumibilmente è cominciato nel periodo dell'esilio babilonese!) La ricerca dell'autrice conferma ciò che i saggi osservatori del conflitto arabo-israeliano sanno da molto tempo: il problema persiste a causa delle profonde ostilità da parte araba, e pertanto non può essere risolto attraverso le acrobazie diplomatiche. I governi non possono migliorare le relazioni prima che ci sia una reazione violenta.