Gli scritti di Pelletiere gli sono valsi il titolo poco contrastato di principale apologeta di Saddam Hussein negli Stati Uniti. Egli mantiene questo triste merito nel volume La guerra Iran-Iraq. Saddam estromise nel 1979 Ahmad Hassan al-Bakr, suo predecessore, dalla presidenza, per poi spogliarlo di tutti i suoi titoli. Ma chi oltre a Pelletiere avrebbe detto che al-Bakr era "ansioso di dimettersi"? Chi altri avrebbe negato la tesi di Samir al-Khalil che Saddam governa attraverso la paura? O chi avrebbe considerato l'invasione del Kuwait un mero errore di valutazione, scrivendo che "Saddam avrebbe dovuto essere più avveduto piuttosto che invadere il suo vicino".
E gli esempi non si esauriscono. Una strana logica conduce Pelletiere ad arguire che la rapida repressione della rivolta delle popolazioni sciite del sud avvenuta ai primi del 1991 implica che gli iraniani, non gli sciiti iracheni, devono aver organizzato l'insurrezione. La sua eccentrica interpretazione dell'operazione Tempesta nel Deserto gli permette di confermare la valutazione da lui fatta prima del 1991 che l'esercito iracheno era "professionale e assai qualificato ".
Pellettiere interpreta la guerra Iran-Iraq in modo non meno bizzarro. Al posto dell'interpretazione convenzionale della fine della guerra – che l'Iraq ha vinto attraverso un logoramento sanguinoso e mediante l'utilizzo di gas velenosi – l'autore preferisce considerare la vittoria come il frutto di una lungimirante strategia irachena e di "un'abilità di combattimento superiore". Questo, in breve, non è il luogo adatto per scoprire cosa sia accaduto in quegli otto anni di combattimenti; e fra i numerosi studi eccellenti scritti sull'argomento, spicca il secondo volume di Antony H. Cordesman e Abraham R. Wagner, Lezioni della guerra moderna, (recensito nelle pagine di Orbis, nel numero Autunno 1990).