L'Ayatollah Khomeini arrivò al potere, in Iran, nel 1979, col suo slogan "Morte all'America", e nei successivi vent'anni centinaia di Americani hanno perso la vita per via dell'Islam militante. Tuttavia, tutto questo non ha colpito la coscienza dell'opinione pubblica americana, fino allo shock dell'11 Settembre 2001, quando finalmente gli Americani hanno focalizzato l'attenzione su questo nemico. Tra gli innumerevoli interrogativi suscitati dai quattro dirottamenti suicidi, probabilmente quelli più profondi ed inquietanti, per non dire sconcertanti, riguardavano i motivi che hanno spinto gli esecutori, e la domanda più ovvia è stata quella inerente la natura e gli obiettivi del nemico.
Le dichiarazioni pubbliche non hanno risposto alle innumerevoli domande. C'era Osama bin Laden che proclamava una violenta jihad sugli Stati Uniti e c'era il Presidente George W. Bush che dichiarava che l'Islam "insegna la pace". A quale portavoce prestare ascolto? Oppure come interpretare la denuncia di Laura Bush del brutale trattamento cui erano sottoposte in Afganistan le donne da parte dei talebani, e la sua descrizione di quanto accaduto come "un obiettivo focale dei terroristi", mentre si assolveva l'Islam da ogni ruolo avuto nella tragedia ("La severa repressione e la brutalità perpetrate ai danni delle donne afgane non è una questione di legittima pratica religiosa. I musulmani di tutto il mondo hanno condannato la brutale degradazione delle donne e delle bambine da parte del regime talebano")? Perché i terroristi opprimerebbero le donne se ciò non avrebbe nulla a che fare con la versione islamica del mondo?
Vi sono anche molti altri interrogativi, tanto per incominciare quelli più elementari. Quale rapporto intercorre tra l'Islam e gli atti di violenza condotti in suo nome? Occorre distinguere tra l'Islam e l'estrema versione della religione, conosciuta in modo diverso come Islam militante, Islam radicale, Islam fondamentalista o Islamismo? Occorre ulteriormente fare una distinzione tra la variante violenta e quella politica dell'Islam militante? Al-Qaeda può essere ascritta a un culto piuttosto che all'Islam? L'Islam militante nasce dalla povertà? Gli Islamici sono retrogradi? I musulmani americani soffrono di ingiustificati pregiudizi? Qualcuno ha detto che negli Stati Uniti vivono 6-7 milioni di musulmani americani, altri dicono che sono 1 milione; a chi credere? I musulmani americani tendono a integrarsi o desiderano ricostruire il Paese a loro immagine? L'Islam afro-americano si ricollega agli schiavi deportati negli Stati Uniti? La nazione dell'Islam è veramente islamica?
Da oltre trenta anni simili questioni sono state il fulcro del mio lavoro. Ho iniziato a studiare la lingua araba, la storia musulmana e gli argomenti correlati da quand'ero al college. Poi ho trascorso tre anni al Cairo presso delle istituzioni accademiche, ho viaggiato in molti Paesi del mondo musulmano, ho conseguito un Ph.D. in storia del Medio Oriente alla Harvard University, ho insegnato questa materia all'Università di Chicago e ad Harvard, ho lavorato su questo argomento per conto dei Dipartimenti di Stato e della Difesa, e ho scritto già tre libri a riguardo.
Da non-musulmano, ho scritto principalmente per i non-musulmani aiutandoli a comprendere cosa sia talvolta un argomento estraneo. Il mio ruolo consiste fondamentalmente nel dare delle spiegazioni e delle interpretazioni, sebbene tenti altresì di aiutare a formulare delle corrette analisi politiche. Non essendo un musulmano, non credo per definizione nella missione del Profeta Maometto, ma nutro un profondo rispetto per la fede di coloro che vi credono. Ho notato come i musulmani trovino l'Islam profondamente gratificante, come ho altresì rilevato la straordinaria forza interiore che li permea. Avendo studiato la storia e le civiltà del periodo classico, sono vivamente consapevole delle grandi conquiste culturali musulmane raggiunte quasi mille anni orsono.
Mi accosto alla religione dell'Islam in modo neutrale, né elogiandola né attaccandola, ma con spirito investigativo. Non mi considero un apologeta né un propagandista, nemmeno un portavoce né un critico, ma uno studente di questo argomento. Mi pongo interrogativi del tipo: Qual è la natura dei principi, delle usanze e delle implicazioni dell'Islam? In che modo la legge islamica influenza le società musulmane? Vi sono degli elementi comuni alla vita musulmana dall'Africa Occidentale all'Asia sud-orientale, ma assenti altrove?
Sebbene sia neutrale nei confronti dell'Islam, prendo una salda posizione nei confronti dell'Islam militante, che ritengo sia molto differente, e che costituisce un argomento primario di questo libro. Considero l'Islam militante come un flagello globale, le cui vittime annoverano gente di ogni religione. In Paesi come la Nigeria, il Sudan, l'Egitto e le Filippine, i non-musulmani perdono le loro vite a causa di ciò. I musulmani sono le principali vittime in Algeria, Turchia, Iran e Afganistan. L'Islamismo è forse il movimento ideologico più vibrante e coerente del mondo odierno; ci minaccia tutti. I musulmani moderati e in non-musulmani devono cooperare per combattere questo flagello.
Questo saggio si divide in due parti, una sul fenomeno dell'Islam militante e l'altra sulla presenza musulmana negli Stati Uniti.
La Parte I si apre con il capitolo "L'Islam è una minaccia?", un'introduzione generale al fenomeno dell'Islam militante. Rispondo negativamente alla domanda, ma poi dimostro che l'Islam militante è invece una minaccia. Questo saggio sottolinea la mia opinione basilare sul tema dell'Islam militante: come esso sia emerso dal trauma della moderna storia musulmana, le sue principali caratteristiche, in cosa si differisce dall'Islam tradizionale e le tipiche sventure che esso impone sia ai musulmani che ai non-musulmani.
Il collasso dell'Unione Sovietica, avvenuto nel 1991, indusse genericamente a parlare dell'Islam surrogato del Marxismo-Leninismo, come inevitabile nemico dell'Occidente. In termini simbolici, è stato detto che nello schedario fotografico dei criminali occidentali il verde (colore dell'Islam) ha sostituito il rosso (colore del Comunismo). Ne parlo nel capitolo intitolato "L'Immaginario Pericolo Verde", ove prendo in esame le questioni del confronto militare e dell'immigrazione di massa, i due elementi di questa tesi, e concludo che in entrambi i casi la paura è esagerata. Dieci anni dopo il crollo dell'Unione Sovietica, non sono ancora d'accordo con la minaccia militare; ma la questione dell'immigrazione mi interessa ancor più che nel 1990, quando scrissi per la prima volta questa parte del libro.
Quasi nello stesso periodo in cui mi occupavo di questa analisi, Bernard Lewis affermò che l'Islam militante si è dedicato nientemeno che a un "conflitto di civiltà" con l'Occidente, coniando una frase che tre anni dopo Samuel Huntington avrebbe reso famosa come titolo di un articolo (e in seguito di un libro). Nella sua opera, Huntington interpreta l'attuale conflitto in termini culturali e non ideologici. Non sono d'accordo nel ritenere che invece ci troviamo di fronte a una battaglia per l'anima dell'Islam (cap.3). Sentiamo parlare in modo spropositato di Islam militante, ma esiste un Islam credibile e moderato, che dovrà svolgere un difficile ruolo, se mai i Musulmani dovessero unirsi al mondo moderno. Fanale di allineamento, la speranza più viva di questo folto gruppo di rappresentanza è la Repubblica Turca, ma i suoi esponenti si possono trovare ovunque (e specialmente, in maniera ridicola nei panni di mullah dell'Islamica Repubblica Iraniana).
Il capitolo "Esistono gli Islamisti moderati?", replica alla controversia sorta tra parecchi studiosi e il governo statunitense, riguardo alla suddivisione tra buoni e cattivi Islamisti, i primi facenti affidamento sui metodi politici, i secondi su quelli violenti. Invece, io ritengo che ciò dia vita a una falsa dicotomia, visto che tutti gli Islamisti partecipano alla medesima avventura e le loro differenze sono relativamente superficiali. Ne concludo che non esistono le basi per ritenere che l'essere apparentemente meno violenti li renda accettabili. Offro delle specifiche linee guida per la politica americana, basate sulla premessa che tutti gli Islamisti rappresentano un problema, fornendo, in questo e in un altro capitolo del libro delle raccomandazioni politiche.
Un diffuso consenso, sia musulmano che occidentale, ritiene che l'impeto che permea l'Islam militante derivi da una pressione economica. Nel capitolo "La Causa dell'Islam Militante è la Povertà?" dimostro sotto altri aspetti l'assenza di un significativo nesso tra i due fenomeni. Né uno standard di vita né la crescita economica può dire se una persona o una società avrà come punto di riferimento l'Islam militante. Invece, se si osservano da vicino i retroscena dei diciannove dirottatori suicida dell'11 Settembre, si potrebbe argutamente notare che "soldi, cultura e privilegio", sembrerebbero essere le cause fondamentali del loro radicalismo e della loro violenza. Non offro, comunque, in questo capitolo un meccanismo alternativo per prevedere l'Islam militante, ritenendo che esso sia un fenomeno tropo esteso e complesso da collegare a ogni singola variabile. Piuttosto, lo vedo nascere dalla frustrazione e da un profondamente ferito senso di identità.
La traduzione inglese di un libro in arabo che tratta di una forma islamica di economia dà l'opportunità di esaminare dettagliatamente un aspetto del pensiero islamista. Il prolifico scrittore libanese Samih ‘atef El-Zein basa la sua opera sul concetto che "non può sorgere alcun problema né alcun evento può avere luogo per ciò che non trovi spiegazione nella legge islamica". Il capitolo "La Gloria dell'Economia Islamica" sintetizza il suo pensiero, poi sottolinea i punti deboli nell'analisi di El-Zein, prima di giungere all'importante conclusione che, a prescindere dall'esiguità della sua argomentazione, essa va presa seriamente; i secoli passati hanno mostrato che le menti ottuse possono fare degli incredibili danni.
Il capitolo "La Mente Occidentale dell'Islam Militante" è nato da una provocazione del maggio 1994, quando presi parte a Washington D.C. a una tavola rotonda sull'Islam militante e una persona del pubblico rispose al mio dibattito dicendo: «Faccio parte di un gruppo di esperti orientati islamicamente. Ascolto Mozart. Leggo Shakespeare. Guardo Comedy Channel. E credo anche nell'applicazione della Shari'a». L'inverosimile combinazione di Comedy Channel e della Shari'a, mi ha intrigato, suggerendomi questo articolo. Curiosamente, è una delle mie poche analisi che ha incontrato il consenso di alcuni islamisti.
Quello stesso dibattito del maggio 1994 mi pungolò anche in un altro modo. La tavola rotonda era stata introdotta dall'ex senatore George McGovern. Approfittai della sua presenza per chiedergli cosa ne pensasse dell'Islam militante e compresi subito che si accostava a questa nuova minaccia per gli Stati Uniti, pressappoco come aveva fatto con la precedente minaccia del Marxismo-Leninismo. Facendo una veloce autoanalisi mi resi conto che, pur essendo dall'altro lato dello spettro politico, io avevo fatto lo stesso. Nel capitolo "Echi del Dibattito sulla Guerra Fredda", sostengo che lo spartiacque liberal- conservatore che ha marcato le posizioni verso il Comunismo e l'Unione Sovietica, ancora esiste, definendo i punti di vista di entrambi nei confronti dell'Islam militante e dei conseguenti suggerimenti politici. Allora e adesso, "i liberali dicono di parlare con gli estremisti. I conservatori sostengono di combatterli. Come al solito, i conservatori hanno ragione."
L'essenza del capitolo "Il Governo Statunitense: Protettore dell'Islam?", scritto insieme a Mimi Stillman, risultò essere una sorpresa. Una cosa era sentire le singole dichiarazioni da parte degli alti funzionari statali e un'altra raccoglierle, ordinarle ed esaminarle. Quest'ultimo compito ha fatto venire in mente un messaggio più coesivo e forte di quello che è risultato da commenti occasionali del tipo "rigettando ogni connessione tra l'Islam e il terrorismo, avendo da ridire sulle distorsioni dei media e sostenendo che l'America ha bisogno dell'Islam", noi concludiamo che i portavoce ufficiali "hanno trasformato il governo statunitense in un cauto missionario per la fede". Supponendo che ciò non sia loro intenzione, il messaggio di questo saggio è quello che i funzionari statali dovrebbero essere molto più cauti quando parlano di Islam.
Il quarto volume della Oxford Encyclopedia of the Modern Islamic World fornisce l'opportunità di passare in rassegna il meglio di ciò che la cultura contemporanea ha da offrire sul tema dell'Islam. Come suggerisce il titolo del capitolo "Un Monumento di Apologetica", ritengo che, in un'epoca in cui la conoscenza oggettiva è venuta meno come obiettivo, la cultura si sia prontamente trasformata in partigianeria e che questa piaga affligga perfino la più importante opera di consultazione pubblicata da una prestigiosa casa editrice.
La Parte II sull'Islam negli Stati Uniti, si apre con una saggio scritto prima dell'11 Settembre, ma che non è stato pubblicato fino agli eventi di quel giorno che portò gli Americani a riflettere sulla minaccia dell'Islam militante. Il capitolo "Stiamo Conquistando l'America" passa in rassegna le dichiarazioni rilasciate dagli Islamisti, alcune pubbliche altre no, in merito ai loro programmi per gli Stati Uniti. Hanno un progetto ambizioso. Per quanto possa sembrare bizzarro, cercano, niente di meno che, di introdurre la Shari'a nella terra della libertà. La principale diatriba tra gli Islamisti non riguarda la desiderabilità di questo risultato, sul quale sono tutti d'accordo, bensì concerne il metodo migliore per conseguirlo. Alcuni Islamisti sostengono la violenza e altri preferiscono i metodi legali (conversione, azione politica). In questo articolo come in gran parte della Parte II, faccio in larga misura affidamento sull'informazione avuta dai singoli e dai gruppi islamici militanti.
È triste vedere come molti Americani convertiti all'Islam – bianchi o neri, ricchi o poveri, membri della Nazione dell'Islam o dell'Islam normativo – odino il loro Paese. Probabilmente i due simboli più illustri sono Jamil Al-Amin, conosciuto in precedenza come H. Rap Brown, e John Walker Lindh. Al-Amin, un nazionalista nero di mezza età con una lunga carriera da criminale, è stato dichiarato colpevole dell'uccisione di un funzionario di polizia. Lindh, giovane figlio del privilegio che si è unito ai talebani in Afganistan, venne incaricato di fornire del materiale di supporto e delle informazioni a un'organizzazione terroristica straniera. Il capitolo "Conversione e Anti-Americanismo" documenta e considera due motivi per i quali i conversi seguono questa strada: l'indole personale e l'ambiente immigrante musulmano. I conversi all'Islam negli Stati Uniti sono generalmente alienati dalla società nella quale vivono; e poi sono influenzati dalla generalmente bassa considerazione che nutrono gli immigranti musulmani nei confronti degli USA – e talvolta da una forte combinazione dei due motivi.
Il capitolo "Combattere l'Islam Militante, senza Pregiudizi" solleva l'arci-delicata questione politica nei riguardi degli Islamisti che vivono in Occidente. Essendo gli Americani divenuti consapevoli del fatto che l'Islam militante è un loro nemico, come dovrebbero guardare e affrontare i sostenitori di questa ideologia che sono i loro vicini? Invece di rispondere, offro una serie di raccomandazioni politiche su come combattere l'Islam militante.
Il capitolo "Catturare Alcuni Dormienti" solleva il problema del nemico invisibile; in gran parte, la guerra dell'Islam militante contro gli Stati Uniti si basa sul porre delle "cellule dormienti" (agenti segreti, attivati solo per innescare un'operazione) all'interno del Paese. Secondo il Paese, per proteggersi in modo intelligente occorrono delle linee guida sull'ipotetico profilo di una cellula dormiente. Sebbene i dormienti facciano notevoli sforzi per nascondersi, liberandosi delle loro caratteristiche da islamici militanti e addirittura intraprendendo delle attività antitetiche all'Islam, continuano a serbare un certo numero di caratteristiche potenzialmente identificativi; io fornisco una lunga ma incompleta lista di quali siano.
Quelle che si sono auto-definite come custodi degli interessi dei musulmani americani – organizzazioni del tipo l'American Muslim Council, il Council on American-Islamic Relations e il Muslim Public Affairs Council – raccontano tutte una triste – e convincente – favola sulla discriminazione come facente "parte della vita quotidiana dei musulmani americani". Si potrebbe pensare che questa comunità abbia un ristagno socio-economico, tolleri gli oltraggi del pregiudizio e soffra dei duri attacchi da parte dei media. In considerazione di tali convinzioni, ho esaminato le pubblicazioni delle tre organizzazioni summenzionate, come pure altre fonti, e non ho riscontrato nessuna traccia di ciò. Nel capitolo "I Musulmani Americani sono Vittime del Pregiudizio?" dimostro che i Musulmani americani stanno prosperando negli Stati Uniti e che godono della magnanima benevolenza nonché della protezione, come indicato da una gamma di politiche di governo, da documenti mediatici, da azioni corporative e da sentenze giuridiche.
Non è trascorso molto tempo da quando gli Occidentali parlavano liberamente di Maometto, dell'Islam, di Musulmani e di Islam militante, proprio come ancora discutono dei corrispondenti argomenti legati al Cristianesimo. Oggi non è più così. Il capitolo "Come Osate Diffamare l'Islam" esamina il modo in cui la violenza e l'intimidazione hanno chiuso l'aperto dialogo in merito a tali questioni. Si è raggiunto lo strano punto in cui, in un Paese laico, a maggioranza cristiana, come gli Stati Uniti, un biografo di Gesù Cristo ha la libertà di imbarcarsi in oltraggiose bestemmie mentre la sua controparte lavora sui sentimenti di Maometto, costretta ad accettare la versione canonica musulmana della vita del Profeta. Io spiego questo silenzio come qualcosa di significativo in se stesso e come un potenziale primo passo verso l'imposizione della legge islamica.
Ciò è seguito da uno specifico esempio di tale intimidazione. Nel maggio del 1994, venne fatta una registrazione segreta del leader palestinese Yasir Arafat che parlava degli accordi di Oslo come "niente di più che l'accordo firmato alla Mecca tra il Profeta Maometto e i Quraysh". Per riuscire a capire ciò che Arafat aveva lasciato intendere con questa frase in codice, un certo numero di analisti politici americani rispolverarono i loro libri sull'antica storia islamica. La conclusione a cui giunsero – che Arafat stava esprimendo la sua intenzione di rompere l'accordo con Israele nel momento in cui sarebbe diventato sufficientemente forte per farlo impunemente – infastidì alcuni gruppi musulmani americani, che facevano del loro meglio, con considerevole successo, per interrompere ogni discussione di sorta sull'argomento. Il capitolo "Lezioni dalla Diplomazia del Profeta Maometto" spiega il complesso contesto storico di questo dibattito ed esamina i tentativi compiuti dall'Islam militante per interrompere un aperto dialogo.
Un affidavit federale di ottantacinque pagine, pubblicato nel luglio del 2000, fornisce la fonte informativa del capitolo: "La Rete di Charlotte: il Percorso degli Hizbullah nel Profondo Sud". Rivedendo l'affidavit e riportando in inglese il suo legalese e poi integrando qualche altra fonte, ho messo insieme la storia di una banda di partigiani Hizbullah che si sono dedicati a una grossa truffa consistente nel raccogliere soldi a scopo benefico, diretti al gruppo islamico militante libanese. Il sangue freddo e lo sdegno della loro operazione è stato quasi raccapricciante come le grossolane incapacità di parecchie agenzie governative che dovevano proteggere il Paese da individui come loro. Questo episodio offre un resoconto insolitamente completo e convincente delle attività operative dell'Islam militante negli Stati Uniti.
"L'antisemitismo cristiano è un problema di ieri; l'antisemitismo musulmano è quello di domani". Concludo in tal modo rivedendo il comportamento tenuto dai Musulmani nei confronti degli Ebrei. Nelle parole e nei fatti, la rabbia e l'ostilità dell'Islam militante è un qualcosa che gli Ebrei non hanno ancora capito, e ancor meno hanno cominciato a prepararsi a combattere. "Musulmani d'America contro Ebrei d'America" è un mio ammonimento che l'Islam militante minaccia di porre fine all'epoca d'oro degli Ebrei americani.
Gli ultimi tre capitoli riguardano l'Islam afro-americano. I primi musulmani d'America non erano né immigranti né conversi, ma schiavi in catene deportati dall'Africa. Stranamente, questa saga dimenticata, solo negli ultimi anni, ha cominciato a essere oggetto di interesse. Il Capitolo "Gli Schiavi Musulmani nella Storia Americana" parla dello sforzo estremamente letterario e ambizioso compiuto da Sylviane Diouf in Servants of Allah: African Muslims Enslaved in the Americas, per comprendere le loro vite e il loro retaggio.
La storia musulmana si è dipanata per quattordici secoli finché nel 1913 in un paese lontano sorse spontaneamente una variante dell'Islam e divenne un importante movimento, che è nato a Newark, in New Jersey, prendendo il nome di Moorish Science Temple of America. Nel 1930 questa istituzione condusse i neri d'America alla Nazione dell'Islam e che a sua volta nel 1960 li diresse all'Islam normativo. Basandosi sulla figura principale di Elijah Muhammed, l'uomo che governò la Nazione dell'Islam per oltre quarant'anni, il capitolo "L'ascesa di Elijah Muhammed" offre una visione d'insieme dei mutamenti di tale movimento e in modo specifico di come esso, da strano culto, si sia sviluppato in Islam normativo.
Il capitolo "Il Curioso Caso di Jamil Al-Amin" si richiama alla lunga e mediocre, ma assai pubblicizzata carriera dell'ex H. Rap Brown. Soprannominato nel 1960 "l'agitatore meno riflessivo della sinistra violenta", al momento della stesura del capitolo egli era iscritto nel registro degli indagati, accusato di aver ucciso un poliziotto di Atlanta nel marzo 2000. Il suo caso fu di per sé interessante tanto più che Al-Amin era diventato una figura portante nella vita musulmana americana. Ne risultò che quasi tutte le organizzazioni musulmane del Paese si schierarono al suo fianco. Nel capitolo metto in evidenza il fatto che esse siano state solidali con un uomo che risultava per ben due volte sulla lista dei più ricercati dall'FBI e non con gli orfani dell'ufficiale di polizia assassinato; e dimostro che ciò evidenzia la natura estremista di queste organizzazioni.
Il capitolo conclusivo "Chi È il Nemico?", propone un modo per vincere la guerra al terrorismo, indicando due passi da compiere: indebolire in decine di Paesi intorno al mondo l'Islam militante, inclusi gli Stati Uniti, per poi aiutare i musulmani moderati a esprimere il loro messaggio. Sebbene i moderati appaiano deboli – e lo sono - , hanno un ruolo importante da svolgere, in quanto solo loro sono in grado di riconciliare l'Islam con la modernità e aiutare i musulmani a ritornare al successo che anelano e che meritano. Alla fine, suggerisco un modo per superare i problemi e gli orrori del presente. Metterlo in atto, comunque, comporta, da parte del governo statunitense, un riconoscimento del fatto che il nemico non è un "terrorismo" anonimo ma bensì l'Islam militante.