Lederman, il decano dei corrispondenti da Israele (per la National Public Radio, N.d.T.), ha scritto un piccolo capolavoro, eletto libro dell'anno 1992 tra i volumi dedicati al Medio Oriente. La sua tesi si può sintetizzare così: i palestinesi si sono imbattuti in una vittoria mediatica attraverso l'Intifada mentre Israele si è imbattuto in una sconfitta, e l'Olp ha poi salvato Israele dal disastro. Lederman utilizza la mediatizzazione americana dell'Intifada per esaminare alcune delle maggiori questioni della vita israeliana e palestinese e per analizzare le questioni chiave della politica e del giornalismo. Pagina dopo pagina, egli sciorina battute spiritose, aforismi e idee eccellenti.
Ad esempio, tutti e quattro i libri presenti nei miei scaffali intitolati Intifada più altri due, L'Intifada ed Echi dell'Intifada ritengono che l'insurrezione sia iniziata quando i palestinesi, stufi dell'occupazione israeliana, si ribellarono a colpi di sassi, Lederman invece non la pensa così. La vera storia, egli scrive, ebbe a che fare con il cambio generazionale nella società palestinese: "In seno alla comunità palestinese dei Territori occupati è in corso una rivoluzione sociale" con la leadership che passa dagli anziani agli adolescenti. Lederman fornisce un'analisi originale del conflitto stesso, senza dare importanza agli indici convenzionali (morti, danni alla proprietà, oneri finanziari) e considerandolo una "guerra mediatica". Questo lo porta a ritrarre i media come se fossero a pieno titolo un attore del conflitto.
Vista la dura critica mossa da Liederman ai mezzi di comunicazione, non sorprende affatto che i suoi colleghi giornalisti apprezzino poco il suo lavoro (la Columbia Journalism Review lo accusa di "pomposità" e "vaniloquio"). Ma questo lo rende ancor più prezioso per il resto di noi.