Pubblicato poche settimane prima della morte del famoso autore all'età di 66 anni, La politica in Medio Oriente è caduto in uno strano oblio, anche se è il primo lungo studio di Kedourie sul Medio Oriente in sedici anni e riassume il lavoro della sua carriera. Il volume consta di una storia sondaggio delle istituzioni politiche di cinque Paesi (Turchia, Egitto, Siria, Iraq e Iran) nel XX secolo, un'opera che eguaglia e completa La democrazia e la cultura politica araba (da me recensito nelle pagine di Orbis, nel numero Autunno 1992) senza essere una replica di quello studio meno voluminoso. La politica in Medio Oriente racchiude i punti di forza (una vasta conoscenza, un'analisi brillante, intuizioni assolutamente originali e totale onestà) come pure le pecche (una mentalità chiusa) e l'eccentricità (Israele e il conflitto arabo-israeliano potrebbero anche non esistere) dei suoi primi studi.
In quest'ultimo volume Kedourie dà sfogo al suo scetticismo e pessimismo riguardo alla moderna esperienza in Medio Oriente. Esaminando attentamente gli ultimi vent'anni, egli ravvisa delle società sempre più segmentate, deluse da sconfitte e battute d'arresto, sottoposte a ideologie radicali, centralizzate e governate dai capricci di despoti. L'autore si limita a riconoscere a malincuore che la Turchia ha un destino più felice, ritenendo anche che quel Paese non è mai stato più di ora a un passo dal disastro.
Gli ultimi decenni sono stati clementi con Kedourie; anche i suoi critici ora ammettono che quelli che un tempo erano considerati degli esperimenti politici allettanti (il partito Ba'th, l'Egitto sotto Abdel Nasser, la Repubblica islamica di Khomeini) si sono dimostrati disastrosi.