Assiri ha scritto la prima e probabilmente ultima panoramica del Kuwait. In linea con la mentalità agitata ma compiaciuta di sé che ha caratterizzato la vita politica e intellettuale del Kuwait dalla sua indipendenza (proclamata nel giugno 1961) fino alla sua estinzione ventinove anni dopo, La politica estera del Kuwait è permeato dalla domanda: Come ha fatto un Paese debole a sopravvivere e a prosperare avendo per vicini dei Paesi duri?
L'autore ravvisa tre obiettivi nazionali che hanno determinato le relazioni esterne del Kuwait: la sicurezza nazionale, la promozione dell'arabismo e dell'Islam e la condivisione della ricchezza del Paese con gli altri arabi e musulmani. Egli mostra con abilità che nei tempi normali e di crisi – soprattutto all'epoca delle minacce irachene del 1961 e del 1973, della rivoluzione iraniana del 1979 e della guerra tra Iran e Iraq del 1980-1988 – le autorità kuwaitiane hanno osservato questi principi fondamentali.
Ora che il Kuwait non esiste più, il valore permanente dello studio di Assiri non risiede tanto nel suo resoconto cronologico e nell'interpretazione da lui data quanto invece nel suo messaggio globale secondo il quale le autorità kuwaitiane hanno cercato di essere dei bravi cittadini nella politica internazionale. A differenza dei sauditi, i politici del Kuwait non avevano nessuna ideologia da esportare. Le forze armate non erano numerose, i terroristi erano in carcere e l'antiamericanismo era tenuto sotto controllo. In breve, secondo gli standard del Medio Oriente musulmano, la politica estera del Kuwait era una forza benefica. Il volumetto di Assiri è un memoriale appropriato.