L'organizzazione con sede a Washington, Search for Common Ground (specializzata nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti, N.d.T.) si addentra in un terreno ancora vergine facendo incontrare Faraj, uno stratega kuwaitiano, e Kubba, un leader dell'opposizione irachena, per esplorare le possibilità di sanare le differenze tra i loro Paesi, per il dopo Saddam Hussein. Garantendo più di una mera conversazione superficiale, i due uomini hanno stabilito "di impegnarsi in un processo di consultazioni facilitate della durata di dodici mesi" nel corso del quale essi hanno più volte presentato i loro risultati ai seminari degli specialisti.
I risultati apparentemente brillanti di questo progetto si basano sulla disponibilità di Kubba a concedere al Kuwait il diritto di esistere come Stato indipendente. Dopo di che è solo una questione di lavorare sui dettagli. Ma come nel caso parallelo degli arabi e di Israele, un'accettazione rapida dei diritti del nemico di esistere non basta. L'opposizione irachena, come la stessa popolazione, deve dimostrare appieno, esplicitamente e in modo permanente di aver rinunciato alle proprie ambizioni di distruggere uno Stato sovrano. Purtroppo, come nel caso di Israele, anche qui c'è troppa reticenza, almeno a giudicare dalle osservazioni di Kubba. Il lettore deve essere molto sveglio per ravvisare la sua laconica ed equivoca accettazione del Kuwait; il resto della sua lunga analisi è costituito in gran parte da richieste al Kuwait (per l'accesso al mare, gli aiuti economici e lo smantellamento del suo apparato di sicurezza). Ancor più allarmante è il fatto che Kubba rilevi che i legami del Kuwait con gli Stati Uniti "possono irritare o perfino minacciare l'Iraq", e pertanto egli esige il ritiro delle truppe americane. Nell'insieme, Kubba lascia intendere che il Kuwait ha le stesse responsabilità dell'Iraq riguardo ai problemi del passato ed è egualmente responsabile della loro riparazione. Per quanto tutto questo rappresenta le riflessioni dell'opposizione irachena, non è un buon segno. Il suo approccio trasuda riluttanza e continuerà a farlo finché l'Iraq non sarà di nuovo forte, quando i suoi governanti potranno rivedere con calma la loro politica riguardo al Kuwait.
L'esperienza del XX secolo in Medio Oriente mostra che i conflitti in quest'area geografica hanno fine non per buona volontà ma per sfinimento e miseria. "Pace" non significa armonia ma deterrenza reciproca. Leggere fra le righe l'analisi di Kubba mostra che l'accettazione apparente del Kuwait di altre riflessioni, rappresenta, di fatto, un'ostilità permanente.