Un titolo scialbo può dare l'impressione che un altro funzionario governativo in pensione abbia pensato bene di puntare il dito contro la politica americana in Medio Oriente ma Parker usa il termine "errore di calcolo" in modo più preciso che sta a indicare "una decisione politica che va male perché quelli che l'hanno presa non hanno previsto correttamente quali sarebbero stati gli effetti". L'autore analizza tre casi secondo quest'ottica: gli errori commessi dai siriani e dai sovietici nel maggio 1967; il non prestare ascolto da parte di Stati Uniti e Israele alle minacce sovietiche di introdurre truppe in Egitto nel febbraio 1970 e l'insistenza americana a portare a compimento l'accordo fra il Libano e Israele del maggio 1983.
Questi ultimi due casi non reggono al peso loro imposto da Parker. Nel caso del 1970, ad esempio, è vero che Washington e Gerusalemme non riuscirono a interpretare correttamente i moniti sovietici, ma si è trattato di una sorta di errore non grave quasi di routine. L'analisi di Parker però dà prova della propria bontà nel primo caso, una disamina approfondita e sagace di uno dei grandi enigmi della storia moderna: "Perché c'è stata la guerra dei Sei giorni?" L'autore attinge a documenti pubblicati, a interviste e all'esperienza personale per stabilire l'importanza di sottigliezze come il rapporto tra Gamal Abdel Nasser e il suo feldmaresciallo Abd al-Hakim Amer; egli ha capito le difficoltà della tempificazione e mostra come gli eventi abbiano acquisito una dinamica propria. Finché gli archivi non saranno completamente aperti, questa probabilmente è l'ultima parola sullo scoppio della guerra nel giugno 1967. E come tale, essa offre un'interessante via di accesso al complesso mondo della politica mediorientale.