Una probabile ragione del limitato fascino dei movimenti fondamentalisti prima del 1975 era dovuta alla loro mancanza di leadership. Al contrario, la comparsa di leader assai competenti contribuisce a spiegare la rimonta degli ultimi due decenni. Gli eccellenti saggi contenuti nel volume si focalizzano su questo importante punto di vista personale; sebbene il titolo si riferisca solo ai fondamentalisti islamici, il volume include altresì leader ebraici (i discepoli di Kook, Moshe Levinger) e anche un cristiano eccentrico (Jan Willem van der Hoeven, un ministro olandese che vive a Gerusalemme).
I musulmani, però, occupano la maggior parte del libro: Khomeini, Fadlallah, Turabi, Yasin e il meno conosciuto ma altrettanto importante Ahmad Isma'il di Minya, in Egitto. Tutti i saggi meritano un'attenta lettura, ma soprattutto quello di Martin Kramer che a p. 99 del volume si occupa di Fadlallah in quello che è uno studio straordinariamente sottile su una figura straordinariamente sottile. Kramer ripercorre i primi anni di vita dello sceicco, la sua improvvisa notorietà nel 1984 e la sua carriera nel corso del successivo decennio come "leader spirituale" del movimento libanese Hezbollah. Notando che "una volta che ha iniziato a parlare, egli non si è mai fermato", Kramer ha passato al vaglio un gran numero d'interviste rilasciate da Fadlallah per diffondere i suoi immutabili obiettivi strategici (uno Stato islamico in Libano, la distruzione di Israele) come pure le sue tattiche molto flessibili. Nelle parole di Kramer: "Pretendere Gerusalemme ma accontentarsi (per ora) del sud [del Libano]; pretendere uno Stato islamico, per poi accontentarsi (per ora) di uno stato 'umano'. Nei suoi appelli ai disprezzati, Fadlallah è rimasto una persona pragmatica e di sani principi". E qui sta il pericolo che egli costituisce.