Kakar è uno di quei rari intellettuali infelici condannati a una vita movimentata. Un afgano che ha studiato e pubblicato in Occidente, è che è diventato in seguito un eminente docente di storia all'Università di Kabul; nel 1982, la sua opposizione all'invasione sovietica gli valse l'arresto da parte del regime comunista. Kakar ha trascorso cinque anni nella famigerata prigione di Pul-e-Charkhi, dove ha vissuto delle esperienze orribili ed è stato testimone di cose ben peggiori. Kakar si è visto risparmiare la vita, forse a causa dell'interesse mostrato al suo caso dai colleghi americani e da Amnesty International. Dopo la sua liberazione, egli è scappato in Pakistan e nel 1989 è emigrato negli Stati Uniti, dove ora vive (a San Diego).
Il volume L'Afghanistan è un monumento di erudizione eretto da un individuo che ha vissuto direttamente gli avvenimenti descritti (ad esempio, egli racconta come sia salito sul tetto della sua casa per vedere le truppe sovietiche assaltare il palazzo presidenziale nel 1979). Kakar ha tenuto un diario triennale che supera le mille pagine; egli ha anche utilizzato il suo tempo in prigione a intervistare un gran numero di detenuti. Gran parte delle sue informazioni è nuova e le sue interpretazioni sono originali. Al contempo, Kakar nutre per il suo lavoro una passione irrefrenabile. L'autore presenta una storia fieramente partigiana del suo Paese, giustificando, ad esempio, i rapporti sempre più stretti con l'Unione Sovietica dagli anni Cinquanta in poi, presentando l'invasione russa come un crudele atto di tradimento. Quanto agli Stati Uniti, egli crede che gli americani abbiano una responsabilità morale verso gli afgani ed è arrivato il momento per loro di aiutarli a trasformare la cultura tossica in una sana. In effetti, questa è più una minaccia che un appello, perché Kakar termina il suo tomo con il monito che la cultura tossica potrebbe diventare troppo importante perché sia ignorata: oltre alla presenza di un cimitero britannico e di uno sovietico in Afghanistan, Kakar mette in guardia contro la possibilità che un giorno ce ne sia anche uno americano.