C'è un crimine che Saddam Hussein non ha commesso? Il più grave di tutti può essere la guerra genocida contro i curdi stanziati nelle aree rurali dell'Iraq che ebbe luogo nel 1988, portando alla morte di almeno cinquantamila persone. Grazie a più di oltre diciotto tonnellate dei documenti ufficiali iracheni, circa quattro milioni in tutto, di cui i curdi erano entrati in possesso e avevano inviato agli Stati Uniti in seguito alla guerra del Kuwait, noi sappiamo tutto nei minimi dettagli. A livello di documentazione di uno stato totalitario, questa scoperta può superare i documenti nazisti sequestrati nel 1945. Nel volume leggiamo delle otto fasi della campagna al-Anfal (in arabo, al-anfal significa "il bottino", campagna nota anche come il genocidio curdo, N.d.T.), apprendiamo i dettagli di ogni attacco e l'identità di molti criminali di guerra.
L'analogia nazista viene anche in mente per quanto concerne i dettagli. Le stesse procedure burocratiche paralizzanti; la stessa struttura eufemistica, consistente nell'attenuare la brutalità, lo stesso processo diviso in tre parti: di delimitazione, concentrazione [della popolazione curda] e annientamento delle vittime; e la stessa indifferenza verso l'opinione straniera. Per quanto riguarda quest'ultimo punto, Ali Hassan al-Majiid, parente di Saddam che dirigeva l'operazione, nel maggio 1988 annunciò: "Li ucciderò tutti con le armi chimiche! Chi potrà dire niente? La comunità internazionale? Vadano a quel paese! La comunità internazionale e quelli che li ascoltano!"
Il volume Il crimine di genocidio dell'Iraq offre un dettagliato, lucido e incontestabile caso contro il regime di Baghdad, ricostruendo la storia della campagna di al-Anfal e collocandola nel contesto della politica irachena. Tutti quelli che hanno partecipato a questo progetto esemplare, tra cui Peter Galbraith e Kanan Makiya, meritano la gratitudine di un'umanità addolorata.