Per delle ottime ragioni di marketing, senza dubbio, Alterman ha evitato di utilizzare il termine "media transnazionali" nel suo titolo, poiché ciò gli avrebbe sicuramente fatto perdere metà del suo pubblico potenziale. Pertanto, i "media transnazionali" nei paesi arabofoni sono esattamente ciò di cui si occupa il suo studio innovativo. Egli dedica un capitolo a ciascuno dei quotidiani arabofoni con sede a Londra e a Parigi, alle numerose nuove emittenti televisive satellitari, e a quel gigante dormiente qual è Internet. L'autore dimostra come l'apparizione di questi nuovi media rappresenti una sfida nuova e seria al vecchio ordine della censura di regime. Con la probabile eccezione dell'Iraq, gli autocrati al potere non possono più decidere ciò che i loro cittadini debbano leggere, vedere e sentire. Alterman rileva che i media vecchio stile "inveiscono contro l'iniquità del presunto controllo americano e israeliano delle istituzioni internazionali, essi sono ciechi alle notizie interne e non si occupano degli sviluppi intellettuali né delle storie che rivestono un interesse umano". I nuovi media riempiono almeno qualcuno di questi numerosi vuoti. Come asserisce felicemente Alterman, la situazione nei paesi arabofoni assomiglia a quella dell'Occidente, dove i governi hanno una "voce ma non un veto" sul diffondere informazioni in merito alle loro attività. Benché sia consapevole dei potenziali problemi che questo potrebbe causare, nell'insieme, Alterman è ottimista sull'impatto di questi nuovi media, come ci si poteva aspettare da un analista americano, che crede nei benefici di una maggiore libertà di parola.
Il volume Nuovi media, nuova politica? non ha solo il pregio di sostenere una tesi importante e nuova, ma anche di contenere numerosi dettagli interessanti, o almeno qualcuno. I giornalisti libanesi che lavorano nella redazione dei quotidiani potrebbero preferire Parigi, ma le pubblicazioni hanno perlopiù sede a Londra perché è lì dove i proprietari dei giornali, soprattutto quelli del Golfo Persico, preferiscono vivere. Non solo gran parte dei quotidiani e delle emittenti televisive è di proprietà saudita, ma il mercato saudita è di gran lunga il più importante per il pubblico esclusivo di cui i media ambiziosi hanno bisogno per vendere gli spazi pubblicitari agli inserzionisti; nel 1994, 12,5milioni di dollari dei 13milioni del giro d'affari degli annunci pubblicati dai quotidiani con sede a Londra provenivano da lì. Pertanto, le spese pubblicitarie dell'intero mondo arabo (con una popolazione di oltre venti milioni di abitanti) ammontano appena a 900milioni di dollari l'anno, superando di poco gli 800milioni di dollari di pubblicità di Israele (con una popolazione di soli sei milioni di abitanti).