[Titolo originale dell'opera: The Smarter Bomb, Women and Children as Suicide Bombers ]
di Anat Berko
Rowman & Littlefield Publishers, 2012. 212 pp., $42
ISBN: 978-1-4422-1952-6
Anat Berko ha trascorso gli ultimi quindici anni a intervistare nelle prigioni i terroristi, un'esperienza che le ha offerto una competenza incomparabile su quest'argomento fra i ricercatori accademici; e nessuno ha mai mostrato una così grande abilità come la sua a far parlare di sé le persone intervistate. I risultati, pubblicati in una serie di studi sulla personalità, le circostanze e i motivi, hanno aperto un argomento finora misterioso all'esame pubblico.
Dopo aver focalizzato l'attenzione sui detenuti maschi, la Berko in questo libro si occupa delle donne e dei bambini. Le differenze sono profonde, come ci si poteva aspettare, soprattutto nella società musulmana, dove le donne sono particolarmente svantaggiate. Le restrizioni sessuali che dominano la vita di una donna hanno delle profonde implicazioni per la partecipazione delle donne alle attività terroristiche: il capitolo 7 mostra che le donne sognano [di fare] "quella cosa" (ossia il sesso) di continuo in Paradiso. I capitoli 8 e 15 tracciano il profilo delle donne che compiono una missione terroristica dopo aver avuto delle relazioni sessuali con chi li manda in missione. Il capitolo 11 dimostra il fatto rilevante che "un gran numero [di donne palestinesi] ha preferito la prigione israeliana alle proprie case" a causa dei maltrattamenti inflitti dai parenti; in effetti, alcune di loro fingono di attaccare gli israeliani per andare in prigione e lasciarsi alle spalle la vita miserabile che erano costrette a condurre a casa. Il capitolo 14 parla dell'opportunità ricorrente data alle donne di sfuggire al disonore sessuale con la violenza.
Anat Berko, autrice di The Smarter Bomb. |
Il libro contiene una miniera d'informazioni, in gran parte presentate come dati crudi sotto forma di resoconti basati sulle conversazioni. Altri lettori possono beneficiare del lavoro prezioso della Berko per tirare le loro conclusioni. Qui di seguito qualcuno dei grandi temi che emergono dalle pagine di questo volume:
- Il contrasto tra l'utilità delle donne nel terrorismo (perché esse destano meno sospetti degli uomini) e le loro scadenti prestazioni (in seguito al fatto che esse sono meno legate alle ideologie).
- La tensione fra l'ammirazione per una donna che rinuncia alla propria vita e il sospetto che il suo sacrificio abbia potuto implicare una qualche forma di colpevolezza sessuale. Come afferma un giornalista palestinese, quando una donna compie un attacco terroristico, gli altri si prendono gioco di lei dicendo: "Si è fatta saltare in aria masturbandosi. (…) Non faceva abbastanza sesso. (…) Non era soddisfatta".
- In alcuni casi, le circostanze disperate spingono le donne a compiere degli atti estremi sperando di porre fine alle loro esistenze miserabili. Come dice un complice di un attentato suicida: "Queste ragazze non pensano di finire in galera, pensano di morire. Ritengono che la morte sia meglio che vivere come loro fanno".
- In altri casi, le donne detenute cercano volutamente la prigione come rifugio sicuro per scappare da matrimoni forzati, da accuse di comportamenti inappropriati o dalla violenza domestica. Per andare in prigione, esse pugnalano i soldati, brandiscono dei coltelli in aria o buttano l'acido addosso a un soldato israeliano.
- Le terroriste considerano gli israeliani come esseri umani inferiori, ma dopo aver trascorso del tempo nelle prigioni israeliane, dove i detenuti (come si dice) "hanno rispetto e sono rispettati", esse migliorano spesso le loro attitudini: "Gli ebrei si prendono meglio cura di me che di noi [gli arabi]".
- In una misura sorprendente, le donne terroriste si danno alla violenza per frequentare e legarsi agli uomini da cui sono fisicamente attratte. Come ha asserito un avvocato difensore: "Non ho mai incontrato una donna nubile che è stata motivata dall'ideologia (…) ogni donna coinvolta nel terrorismo è una romantica".
- Per queste ragioni, la Berko ritiene che "un gran numero" di donne detenute preferisca rimanere in un carcere israeliano piuttosto che fare ritorno alle proprie case. Come una di loro le ha detto: "Preferisco stare in carcere, qui mi aiutano".
- Le detenute, in genere, hanno alle spalle famiglie monoparentali o famiglie in cui manca una figura maschile forte e protettiva.
- La stessa idea di donne che fanno la guerra e vanno in prigione sovverte i concetti palestinesi di ordine. Nelle chiarificatrici parole del vice-capo di Hamas: "Se una donna sta in prigione per molto tempo, diventerà un uomo" (il che significa che la donna nutrirà delle idee sbagliate d'indipendenza).
- Di conseguenza, i palestinesi mantengono le distanze dalle detenute: "È un'eroina, ma non permetterò mai che mio figlio o mio fratello sposi una donna come quella".
Un membro della famiglia mostra un'immagine che celebra Fatma An-Najar, 57 anni, la più anziana donna kamikaze palestinese. |
Infine, lo studio della Berko fa allusione alle tattiche di controterrorismo. Ad esempio, la suscettibilità profondamente urtata quando si tratta di vedere i corpi delle donne nude, anche morte, anche fatti a pezzi dall'esplosione ("Se una donna si fa esplodere, sarà vista, e questo crea una situazione molto difficile"), suggerisce che le autorità israeliane, e non solo, possono dissuadere le donne kamikaze musulmane distribuendo delle foto dei loro resti nudi, e soprattutto delle loro parti intime. (La stessa tattica, in misura minore, potrebbe essere utile anche per i terroristi musulmani.)
La sensibilità mostrata dalla Berko nel modo di trattare un argomento ripugnante mette in piena luce la mentalità e l'universo sociale delle nemiche donne di Israele. Le idee che l'autrice raccoglie qua e là giovano a tutti quelli che sono coinvolti nella lotta al terrorismo perpetrato dalle donne musulmane, a prescindere da dove vengono queste donne o dalla loro causa.