http://www.israele.net/analisi/20120pns.html
Anche se i negoziatori israeliani e palestinesi si incontrano a Washington, l'atmosfera dei rapporti arabo-israeliani resta fondamentalmente alterata rispetto a quella di tre mesi fa. Di fatto sembra piu' simile a quella dei vecchi brutti giorni alla vigilia del 1967. Allora i nemici di Israele erano ampiamente convinti che avrebbero potuto spazzare via lo stato ebraico con un unico colpo ben assestato.
E proprio questa loro eccessiva fiducia in se stessi spiega come sia scoppiata una guerra in piena regola nel giugno del 1967 senza che nessuno l'avesse veramente programmata. La strabiliante vittoria d'Israele nella guerra dei Sei Giorni sembro' allora che avesse distrutto l'euforia degli arabi e chiuso per sempre la questione dell'esistenza duratura dello stato ebraico. Ma non doveva essere cosi'. (...)
Soprattutto in questi ultimi due mesi, i nemici di Israele sono di nuovo presi dalla tentazione dell'opzione militare secondo modalita' che ricordano gli anni prima del 1967. (...)
Come al solito la parte piu' arrogante la fa l'Iraq, che invoca la jihad (guerra santa) per "liberare la Palestina" e "mettere fine al Sionismo". Saddam Hussein ha fragorosamente reclutato due milioni di volontari per combattere contro Israele e ha mandato una divisione del suo esercito al confine iracheno piu' vicino a Israele. Intanto il supremo leader iraniano ayatollah Ali Khameney definisce Israele un "cancro" che deve "essere rimosso".
L'ancora inesperto presidente siriano Bashar Assad fa tintinnare le spade con discorsi bellicosi. Al Cairo, secondo il Middle East News Line, il dibattito ruota ormai attorno al tema: "Se la mini-guerra Israele-Palestinesi subira' un'escalation verso uno scontro regionale, l'Egitto si gettera' nella mischia?". Il presidente egiziano Hosni Mubarak nega di avere in serbo piani per una guerra totale ("Una guerra fino all'ultimo soldato egiziano decisamente non e' in programma"), ma lancia sinistre minacce a proposito di un "ingresso nel tunnel dell'ignoto".
Agli osservatori israeliani non sfugge il pericolo. Per esempio un esperto come Yuval Steinitz, deputato del Likud e membro della Commissione esteri e difesa della Knesset, osserva che "l'Egitto si sta preparando a un conflitto con Israele, anche se non necessariamente a una guerra totale".
Anche il governo americano, nella persona dell'ambasciatore USA in Israele Martin Indyk, ha riconosciuto questo pericolo. Indyk ha notato come gli scontri delle ultime settimane fra Israele e i palestinesi abbiano spinto determinate persone nel mondo arabo a rispolverare l'idea del ricorso a un'opzione militare contro Israele. L'ambasciatore ha parlato di "una sfida molto pericolosa". Come potrebbe concretizzarsi alla fine una vera guerra? Molto probabilmente la chiave sta nell'organizzazione islamica libanese Hezbollah sostenuta dalla Siria, poiche' Israele si e' impegnato a non lasciare impunite le aggressioni di questo movimento colpendo anche obiettivi siriani.
Per evitare uno slittamento verso la guerra, Israele deve calibrare con cura le proprie azioni, cercando di conseguire due obiettivi contraddittori: rafforzare il proprio potere deterrente agli occhi dei potenziali nemici (cioe' dimostrarsi disposto a usare la forza anche a costo di subire perdite), e nello stesso tempo non incendiare i sentimenti delle masse arabe (cioe' fare uso della forza in modo intelligente e controllato). Si tratta di due obiettivi molto complessi, che diventano ancora piu' difficili ogni giorno che passa con nuove violenze che minano il potere deterrente israeliano e accrescono la rabbia degli arabi.
Sicuramente il governo israeliano ha preso alcuni provvedimenti (come far arrivare un avvertimento riservato a Damasco, o rafforzare le truppe sulle alture del Golan), ma questi semplici gesti da soli non bastano. Quanto prima Israele riuscira' a dissuadere seriamente i suoi potenziali nemici, tanto migliori saranno le probabilita' di disperdere i venti di guerra.