Il 1998, in Medio Oriente, si è rivelato essere un anno di attesa. Ad eccezione del neo presidente libanese, i leader resistettero sino alla fine dell'anno (anche se a stento: Re Hussein di Giordania morì all'inizio del 1999). Per la diplomazia araba, fu un periodo di "poco processo, e men che meno di pace". La ribellione del Pkk in Turchia si ridusse. Saddam Hussein riuscì a eludere il regime d'ispezione delle armi.
Il Dayan Center va encomiato per aver intrapreso il massiccio sforzo di svolgere ogni anno un'inchiesta così ampia, con la precisione di un orologio. Contando soprattutto sul talento degli specialisti del Paese, molti dei quali sono da lungo tempo autori della MECS [Middle East Contemporary Survey], il volume contiene delle voci che sono standardizzate, attendibili e non prive di carattere. Questo è il posto per un esame conciso della protesta berbera contro l'arabizzazione in Algeria, del conflitto frontaliero del Qatar-Bahrein o della questione copta in Egitto. Di particolare valore sono le voci sui paesi più sconosciuti – non più dello Yemen, delle cui politiche interne non si parla quasi mai nella stampa occidentale, argomento che però è sapientemente trattato nella MECS da Joseph Kostiner dal 1981 (che di tanto in tanto si prende un congedo sabbatico). Anche nel caso di stati più conosciuti, come l'Iraq, Israele e l'Autorità palestinese in particolare, la documentazione e gli articoli ben dettagliati faranno imparare molte cose nuove anche agli specialisti. Le pressioni per consegnare il lavoro entro i termini stabiliti sono talvolta evidenti, come pure le difficoltà ad assicurare coerenza (a p. 5 Ronald Lauder fa sei viaggi a Damasco, a p. 82 sette o otto), ma questi sono difetti minori in una performance veramente impressionante.