Reed è l'autore delle 128 foto a colori e Ajami ha scritto le 47 pagine del testo in questa vivida indagine su Beirut com'è oggi. Come sempre, Ajami scrive con un raro talento lirico (il che è particolarmente degno di nota perché non è di madrelingua inglese). Essendo cresciuto a Beirut, egli presenta la sua panoramica sulla storia della città con un affetto intriso di amarezza. Non sorprende affatto che Ajami riesca meglio a evocare le ironie e le piccole manie della rovina di Beirut. "Agli inizi degli anni Ottanta, nella città che aveva imitato Parigi c'era ora una parodia della rivoluzione teocratica dell'Iran: una parodia che aveva rimpiazzato un'altra parodia". "Nessuno poteva realmente 'vincere' a Beirut. A metà degli anni Settanta, i combattenti si contendevano gli hotel in riva al mare, i luoghi di cui un tempo essi andavano fieri. Dieci anni dopo, i combattenti si contendevano gli scheletri degli edifici distrutti".
Per un lettore che conosce bene il destino del Libano, ma che manca di un'esperienza di prima mano della guerra, le foto di Reed hanno forza e immediatezza. Solo un certo numero di immagini mostra degli uomini armati. E questi ultimi hanno esattamente la medesima espressione dei membri delle gang che saccheggiano le grandi città americane – un'espressione violenta, arrogante e del tutto barbara. Il resto della popolazione sembra farsi piccola per la paura o fa disperatamente finta che gli uomini armati non esistono. Di conseguenza, anche le foto che immortalano avvenimenti più normali (di bagnanti, di un battesimo, di una sfilata di moda) puzzano di menzogna. Gli uomini armati definiscono tutto: la realtà centrale come pure la finzione che quella realtà può essere negata.
In un secolo in cui la maggior parte delle atrocità è stata commessa da uno Stato dominante, Beirut: la città dei rimpianti fornisce un terribile memento che questo non è il solo pericolo. Anche l'anarchia può condurre alla tragedia. Le cifre delle vittime possono essere meno elevate, ma la brutalità non è meno spaventosa.