Per molti aspetti, il "grande gioco" del XIX secolo è cambiato: i comunisti governano la Russia; gli americani hanno rimpiazzato gli inglesi e il Golfo Persico, e non l'India, ora costituisce il premio. Tuttavia, in qualche tratto importante, il conflitto resta costante. I sovietici, ad esempio, si attengono scrupolosamente alle più vecchie ambizioni russe, un punto che è messo bene in evidenza in quasi ognuno dei tredici capitoli di questo libro.
I capitoli si occupano dei piani sovietici a lungo termine riguardo all'Afghanistan fra il 1917 e l'invasione del 1979; degli interessi economici sovietici in Afghanistan (che annoverano centinaia di giacimenti minerari, ogni tipo di combustibile, e molto altro ancora); degli interessi strategici dell'Urss; delle operazioni militari; della politica culturale e delle violazioni dei diritti umani.
A differenza di quei volumi scritti da molti autori che si limitano a offrire dei saggi disgiunti fra le copertine rigide, la Klass ha realizzato un'opera editoriale dalle idee chiare e di grande importanza. In particolare, spiccano tre capitoli. L'introduzione dell'autrice fornisce quello che probabilmente è il caso più convincente mai pubblicato del perché la gente onesta dovrebbe fare propria la causa afgana. Yossef Bodansky getta una nuova – e inquietante – luce sugli sforzi bellici sovietici in Afghanistan. "L'esercito sovietico", egli asserisce "sembra essere molto contento dei vantaggi strategici e tattici derivanti dalla conquista dell'Afghanistan e non preoccupato per i costi".
Ma Alexandre Bennigsen si aspetta che la guerra afgana porterà a gravi problemi in seno all'Unione Sovietica. Come gli ha detto un alto funzionario del Partito comunista di origine musulmana: "la resistenza afgana è per noi il primo barlume di speranza dopo la conquista russa".