Roberts ha tracciato una storia informale e dogmatica del Partito Baath dagli anni Quaranta a oggi. Gran parte del materiale da lui utilizzato sui primi due decenni arriva direttamente dal lavoro di studiosi come Devlin, Ma'oz, Rabinovich e van Dam, la vasta esperienza diretta dell'autore come ambasciatore britannico in Siria e in Libano permea la sua analisi dell'ultimo quarto di secolo e il risultato è davvero pregevole. La preoccupazione principale di Roberts è la trasformazione del Partito Baath da partito caratterizzato da un vivace dibattito politico e dall'evoluzione caotica a pilastro statico ma solido di uno stato militarizzato. Egli mostra che nel momento in cui i militari assunsero il potere e "il pendolo ideologico smise di oscillare" si manifestarono altri problemi, in particolare il confronto settario fra gli alawiti e i sunniti.
Per tutta risposta, il regime adottò "il mito politico forte e attivo" della Grande Siria, un obiettivo che secondo Roberts è "l'unico elemento costante" della recente politica estera siriana. Come corollario, egli arguisce che il governo di Damasco ci guadagna dall'esistenza e dalle linee politiche di Israele. "Se per caso le pressioni su Israele (come l'inflazione, la migrazione inversa della popolazione araba e soprattutto la questione demografica che è una bomba a orologeria dentro il territorio israeliano) dovessero indurlo a cercare la pace in cambio di concessioni, le conseguenze per Damasco potrebbero essere negative".