Il sottoscritto, autore di questa recensione, ha letto L'odissea rossa mentre era in viaggio in alcune di quelle zone dove si era recato Akchurin due anni prima. Il libro consta di un'ottima introduzione al Kazakhstan e all'Uzbekistan, anche se talvolta è un po' esagerata. Così, mentre Akchurin racconta che le strade sono piene di crateri e le stazioni di rifornimento vuote, il sottoscritto ha trovato le strade del tutto accettabili e i distributori di benzina ben riforniti. Queste discrepanze mettono in dubbio le storie più stravaganti riportate dall'autore, come il suo spaventoso incontro in una sala cinematografica della città di Cheboksary (dove egli salva una ragazza in pericolo e picchia a sangue un malfattore) e il suo idillio interrotto sulle rive del lago Issyk Kul (dove lui scappa dalle grinfie di una donna che assomigliava a una bambola Barbie).
La forza dell'Odissea rossa risiede più nell'evocazione del clima intellettuale che si respirava nelle regioni musulmane dell'Urss negli ultimi giorni dell'impero che nelle avventure narrate in questo volume. Akchurin fa un vivido resoconto delle sue conversazioni avute con una vasta gamma d'interlocutori, alcuni dei quali (come Mohammed Solikh) sono diventati delle figure politiche di spicco. In un inglese molto idiomatico, l'autore rende accessibile un mondo lontano e alieno. E questa non è un'impresa da poco.