Due analisti molto rinomati di origini arabe e che ora vivono a Washington, entrambi autori di libri seri, sprecano il loro talento a fare un'apologia vergognosa dell'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. Rifiutando l'idea che l'invasione sia stata un atto di aggressione, i due autori preferiscono dichiarare che è "difficile valutare la responsabilità dell'Iraq nella disputa frontaliera". Nell'asserire questo, Khadduri e suo genero Ghareeb utilizzano in modo particolarmente sfacciato l'argomentazione che addossa sul piano morale all'Iraq e al Kuwait un'eguale responsabilità degli avvenimenti accaduti nel biennio 1990-91. Inoltre, i due autori brandiscono quei soliti capri espiatori del discorso radicale arabo che sono i governi americano e britannico. Khadduri e Ghareeb denigrano le forti reazioni avute da Washington e Londra al comportamento brutale di Saddam Hussein come se i due governi l'avessero considerata una mera minaccia ai loro interessi – come se l'orrore dell'immoralità delle sue azioni non avesse avuto nessun ruolo nella mobilitazione dell'opinione pubblica.
Forse l'aspetto più vergognoso de La Guerra del Golfo è lo sforzo reiterato di nascondere le azioni mostruose di Saddam sotto una patina di responsabilità. In un passaggio del volume difficile da credere, gli autori affermano che lui "ha tentennato fra la scuola del realismo e quella dell'idealismo, combinando un elemento comune a entrambe le scuole nelle sue qualità di leader". In un altro brano, le dichiarazioni odiose di Saddam sono interpretate attraverso una sapiente disquisizione sulla scuola filosofica medievale mu'tazilita e la questione del libero arbitrio nel pensiero islamico. Il mistero del perché Khadduri e Ghareeb si sarebbero abbassati a tanto (magari Saddam li ha ricoperti di regali com'è solito fare con i giornalisti preferiti?) è superato solo dall'arcano del perché la Oxford University Press si sia abbassata a pubblicare sciocchezze di questo tipo.