Durante gli ultimi anni della dominazione francese in Algeria, fra il 1956 e il 1962 a voler essere precisi, l'esercito reclutò 70.000 musulmani algerini per dare una mano nell'impresa di mantenere l'ordine. Quando i francesi rinunciarono al loro gioiello della corona coloniale, evacuarono non solo questi soldati ma anche le loro famiglie, circa 300.000 persone in tutto. Conosciuti universalmente come harkis (ma burocraticamente come musulmani francesi rimpatriati o MFR) quarant'anni dopo sono arrivati a essere quasi a mezzo milione.
La loro sorte non è stata felice. Disprezzati dagli algerini e dagli altri immigrati musulmani come opportunisti, essi restano degli emarginati ("Noi Harkis siamo i soli musulmani in città a non avere un posto dove pregare"). Quanto ai francesi di origine, qualsiasi espressione di gratitudine per l'aiuto dato dagli harkis nell'Algeria coloniale è da lungo tempo dissipata; ciò che rimane è una diffidenza razzista verso di loro che sono considerati degli stranieri indolenti (non meno dell'ottanta per cento della coorte di 18-25 anni è disoccupato). Muller, un sociologo giovane e talentuoso, tratta un argomento di cui pochi vogliono parlare. Egli mostra la diversità degli harkis, sostiene che essi non costituiscono in alcun modo una semplice comunità e traccia la vasta gamma delle loro tribolazioni.
In parte, egli lo fa rilevando dei dettagli significativi. Un uomo, nato nel 1953 in Algeria come Mohammed Gueroumi, condusse un'esistenza tormentata in Algeria dopo che suo padre era stato sfollato, al punto di trascorrere un mese nascosto in un cimitero insieme a suo nonno. All'arrivo in Francia nel 1966, Gueroumi trovò un padre troppo malato per poter occuparsi di lui, così egli crebbe in un orfanotrofio dove un impiegato decise di cambiargli il nome in Jean-Pierre Guérin. Dal 1976, egli ha intrapreso una battaglia legale per riottenere il suo vecchio nome (un nome francese e un viso algerino, ironia della sorte, hanno avuto come conseguenza l'esacerbazione dei pregiudizi), una battaglia che oggi a più di vent'anni sta ancora combattendo. La lentezza del suo caso e la riluttanza delle autorità francesi illustrano piuttosto bene la difficile situazione harkis.