La "prospettiva pluralista" del sottotitolo si riferisce alla convinzione dell'autore che "Israele può diventare – e in una certa misura lo è già diventato – parte integrante della regione [del Medio Oriente]". Rejwan, un israeliano nato a Baghdad e residente da tempo a Gerusalemme, argomenta a favore dell'esistenza di un'amicizia storica giudeo-musulmana: "ogni volta che l'Islam è stato in una posizione di egemonia, la sorte degli ebrei ha cominciato a migliorare". Egli considera l'antisemitismo "un fenomeno esclusivamente cristiano" che ancor oggi non esiste fra i musulmani. Quali che siano le differenze esistenti fra ebrei e musulmani sono "prettamente politiche, e non hanno nulla a che vedere con il giudaismo". A suo avviso, Israele dovrebbe essere considerato come un paese del Medio Oriente e non come una parte fuori posto dell'Europa. E lui aspetta con impazienza "un Medio Oriente post-nazionalista" dove le passioni meschine di oggi cederanno il passo al "giorno in cui gli ebrei preferiranno vivere in una società araba piuttosto che in una società israeliana".
"Su quale pianeta vive l'autore?" potrebbero chiedersi i lettori nel leggere questo ritratto idilliaco delle relazioni fra ebrei e musulmani e della potenziale amicizia con i suoi vicini. L'autore mantiene vivo il disprezzo leggermente antisionista degli ebrei iracheni che continuano a pensare, nonostante tutto, che sarebbero stati meglio senza il nazionalismo ebraico, che considerano come un movimento europeo loro imposto. Rejwan spera di tornare a qualcosa di simile alla Baghdad della sua giovinezza, in cui ebrei e arabi prosperavano fianco a fianco. Pur riconoscendo che si tratta di una "chimera" anacronistica, lui conserva ancora i suoi ricordi.
Bisogna attribuire all'aspetto colto e sottile del ragionamento dell'autore il merito di aver reso quest'argomentazione anacronistica il più credibile possibile.