Gli specialisti accademici di Islam sono per la stragrande maggioranza d'accordo su due punti: che l'islamismo (o l'Islam fondamentalista) può essere diviso in elementi "moderati" ed "estremisti"; e che i primi possono prevalere sui secondi, formando idealmente dei partiti islamo-democratici sulla falsariga dei partiti cristiano-democratici che si trovano in Europa. In questo spirito, "il dilemma islamista" del titolo si riferisce alle sfide poste all'islamismo di abbandonare la violenza e andare verso la partecipazione politica.
La curatrice indica una soluzione al dilemma con cui concordano tutti quelli che hanno dato il loro contributo al volume: integrare gli islamisti "in un contesto realmente pluralistico che definisce le regole e i limiti della competizione politica". Ai critici che direbbero che questo approccio è stato tentato in Paesi come l'Algeria, l'Egitto e il Sudan, la Guazzone replica asserendo che "questa strategia non è mai stata, di fatto, pienamente e ripetutamente sperimentata". Nello stesso spirito, Michael C. Hudson chiede "la piena inclusione" degli islamisti nel processo politico, mentre Shireen T. Hunter dichiara che gli islamisti al potere "avrebbero poca scelta se non quella di accettare l'Occidente".
Ma davanti a tutto questo delirio, chi non è uno specialista di Islam può solo scuotere la testa per la meraviglia. Come nel caso dei precedenti movimenti radicali utopistici del XX secolo, gli specialisti cercano di convincerci che questo movimento può essere accolto e cooptato, ma mai affrontato. Ma, di grazia, come sono state esattamente sconfitte le minacce fasciste e comuniste? Perché questa volta dovrebbe essere diverso?