Partendo dalla premessa che l'attacco militare americano contro la Libia del 15 aprile 1986 è stato "probabilmente l'azione di politica estera più controversa e discreta intrapresa dall'amministrazione Reagan", Davis fornisce un'analisi solida e molto dettagliata di questo episodio. Oltre all'eroico sforzo di ricerca in cui si è lanciato nella sua narrazione, ciò che rende il volume particolarmente prezioso è che esso, diversamente dalla maggioranza dei libri su Muammar Gheddafi, non contiene la minima traccia di apologetica per il "cane pazzo del Medio Oriente" (come una volta lo ha descritto il presidente Reagan).
Davis esamina le conseguenze del raid su Tripoli, le opinioni correnti negli Stati Uniti all'epoca (come quella che combattere contro la Libia "potrebbe facilmente uguagliare il Vietnam come uno dei più lunghi e dolorosi impegni militari dell'America") e trova una conclusione ragguardevole. Pur accettando la limitata utilità della forza militare, soprattutto se dispiegata in modo episodico, Davis sostiene che il raid ha ottenuto dei vantaggi reali. "Contro la rigida affermazione che la forza militare non può forse fare nulla contro il terrorismo, e in effetti creerà solamente un ciclo di peggiore violenza, sembra che l'attacco americano potrebbe aver contribuito a interrompere il ciclo di accelerazione del terrorismo mediorientale che risale al 1983". Ha ragione. Col senno di poi, sembra che il 1986 abbia segnato l'apogeo del terrorismo mediorientale contro gli occidentali e che il raid americano sia stato un elemento fondamentale per la successiva riduzione degli episodi terroristici.