Il 17 maggio le elezioni israeliane non offrono una prospettiva felice per uno come me che crede che la maggior parte degli arabi non abbia abbandonato il sogno di distruggere Israele. Non ho un preferito in questa corsa elettorale. Qui di seguito vi spiego il perché.
Sempre più concessioni israeliane, nessun cambiamento da parte araba
Torniamo al settembre 1993, Israele e i palestinesi raggiungono un accordo sul prato della Casa Bianca che si riduce a un mero scambio: benefici in cambio di pace. Israele garantì ai palestinesi un'ampia gamma di vantaggi, soprattutto il controllo sulla loro vita quotidiana; in cambio, i palestinesi erano tenuti a rinunciare alle loro intenzioni bellicose contro Israele e accettarlo come uno Stato ebraico sovrano e permanente.
Benché fosse apparentemente bilaterale, quest'accordo (soprannominato "gli accordi di Oslo") di fatto non era realmente analogo [per le due parti]. Quando il premier israeliano Yitzhak Rabin prometteva azioni, il leader dell'Autorità palestinese (Ap) Yasser Arafat s'impegnava a un mutamento d'animo. Le concessioni fatte da Israele erano concrete e irrevocabili, mentre quelle palestinesi erano soggettive e condizionate.
Israele ha sostanzialmente mantenuto le sue promesse. Circa il 97 per cento dei palestinesi che nel 1993 vivevano sotto il governo israeliano ora vive sotto l'Ap di Arafat. Al contrario, i palestinesi non hanno mantenuto la loro parola.
In svariati modi, i palestinesi mostrano l'intento perseverante di distruggere lo Stato ebraico. I politici continuano a parlare di jihad per Gerusalemme; le carte geografiche mostrano una Palestina non a fianco ma al posto di Israele; i bambini vengono fatti cantare in televisione diventando quasi dei "martiri" contro Israele.
Dai tempi della firma degli accordi di Oslo fino alle elezioni del maggio 1996, nessuno ha notato questi fatti preoccupanti in modo più eloquente di Benjamin Netanyahu, il leader del Partito Likud. Insistendo sulla mancanza di acquiescenza dei palestinesi nella sua battaglia elettorale contro il premier Shimon Peres, Netanyahu ha promesso che, qualora lui assumesse il potere, le concessioni unilaterali avrebbero fine. Su queste basi è stato eletto primo ministro.
Beh, Netanyahu stesso si è reso colpevole di una certa mancanza di remissività. Durante i suoi tre anni da premier, lui ha rallentato il ritmo delle concessioni, facendole con riluttanza. Tuttavia, le basi della politica del Partito laburista non sono state minate.
Netanyahu non ha fatto dell'adesione scrupolosa dei palestinesi alle promesse siglate un requisito indispensabile per elargire nuove concessioni. Al contrario, nonostante le innumerevoli infrazioni dell'Ap, lui ha firmato due nuovi accordi con essa – gli Accordi di Hebron e di Wye Plantation – concedendo all'Autorità palestinese ancora più benefici in cambio di maggiori promesse fantasma di un mutamento d'animo.
Il vero Netanyahu
Ecco ciò che rende le elezioni in corso così scoraggianti. I due principali candidati alla carica di primo ministro – Netanyahu ed Ehud Barak del Partito laburista – sono d'accordo sul fatto che Israele dovrebbe ignorare l'ostilità dell'Ap verso lo Stato ebraico e procedere spedito con le nuove concessioni. Piuttosto che bloccare il processo negoziale finché i palestinesi non mostreranno un forte desiderio di vivere in armonia con Israele, i candidati sono pronti a procedere, qualunque cosa accada.
In altre parole, i due uomini approvano una serie di concessioni sostanzialmente unilaterali da parte di Israele. Essi differiscono nei toni e nel ritmo (Barak si muoverebbe in modo più veloce e sorridente rispetto a Netanyahu) ma non nella direzione.
Il fatto che Barak dovrebbe accettare delle concessioni unilaterali non è sorprendente. Nella tradizione di Rabin e Peres, Barak reputa che Israele deve addossarsi l'onere principale di porre fine al conflitto arabo-israeliano, pertanto egli fa poca attenzione all'inosservanza araba dei trattati. Ma come può Netanyahu, come erede del sionista Ze'ev (Vladimir) Jabotinsky e di Menachim Begin, un uomo largamente descritto come un premier dalla "linea dura", accettare questa premessa?
Beh, l'immagine di mangiatore di fuoco affibbiata a Netanyahu non è meritata: lui è un inflessibile pragmatico, un politico che tiene in gran considerazione i sondaggi al pari del suo omologo americano, il presidente Clinton. Questi sondaggi mostrano che una grande maggioranza di israeliani è talmente impaziente di porre fine al conflitto arabo-israeliano da essere disposta a continuare i negoziati indipendentemente dalle intenzioni palestinesi e Netanyahu sta per dare loro quello che desiderano. (Ze'ev Begin, l'unico candidato a premier che esige l'acquiescenza integrale dei palestinesi, ha un misero 3 per cento di voti.)
Tuttavia, Netanyahu non assomiglia a Clinton quanto invece all'ex-presidente americano Richard Nixon. Entrambi questi politici hanno suscitato la forte ostilità della sinistra senza realizzare veramente il programma della destra.
Come per Nixon, le elite accademiche, del giornalismo e dell'arte nutrono un'avversione del tutto irrazionale verso Netanyahu – anche se lui è lungi dall'aver attuato un programma conservatore, ma solo un liberalismo d'imitazione. Nixon ha perseguito il controllo dei salari e dei prezzi, le misure contro la discriminazione nei confronti delle minoranze e delle donne in ambito professionale, la distensione con l'Unione Sovietica e l'apertura alla Cina. Netanyahu ha mantenuto lo stato socialista e ha alle spalle un'attività negoziale con gli arabi piuttosto simile nella sostanza, ma non nei toni, a quella degli avversari laburisti.
Cercare un primo ministro retto
Ecco perché il sottoscritto osservatore conservatore ritiene che la scelta tra Netanyahu e Barak sia così deprimente. A breve termine, sarebbe meglio una vittoria di Netanyahu, perché le concessioni unilaterali saranno meno numerose e più lente. A lungo termine, però, una vittoria di Barak potrebbe essere la scelta migliore per il Paese.
Proprio come l'insuccesso del presidente americano Gerald Ford del 1976 portò all'ascesa di un vero conservatore (Ronald Reagan) nel 1980, così la sconfitta di Netanyahu potrebbe essere la catalisi necessaria perché in futuro appaia qualcuno dai solidi principi che possa garantire realmente la sicurezza di Israele.
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Aggiornamento del 5 aprile 2005: La mia conclusione di cui sopra, vale a dire che "la sconfitta di Netanyahu potrebbe essere la catalisi necessaria perché in futuro appaia qualcuno dai solidi principi che possa garantire realmente la sicurezza di Israele" si è dimostrata corretta. Nel 1999, Barak sconfisse Netanyahu e nel 2001 aveva talmente screditato del tutto l'approccio di "pace" ai palestinesi, che, in reazione, gli israeliani elessero Ariel Sharon come premier. Lui dimostrò veramente di essere un politico dai "solidi principi" per i primi tre anni del suo premierato, dal 2001 al 2003.
Poi, per motivi che nessuno ha ben chiarito, Sharon ha cambiato posizione, come spiego in un articolo titolato la"Follia di Ariel Sharon". Questo cambiamento limita i vantaggi, ma non ribalta la mia tesi a favore di una sconfitta di Netanyahu. Almeno ci sono stati tre anni solidi. Il lato positivo è che forse il cambiamento di Sharon inatteso indurrà nuovamente l'elettorato a guardare a qualcuno dai solidi principi come premier.