NEW YORK - «La presenza americana in Iraq finisce, ma non certo la guerra». È pessimista Daniel Pipes, lo studioso neocon già consigliere di George W. Bush, considerato uno dei massimi esperti americani di Medio Oriente. «Abbiamo sprecato 800 miliardi di dollari, perso oltre 4 mila soldati rimpatriandone altri 30 mila feriti - spiega Pipes - ma tra dieci, forse cinque anni, tutti i nostri sacrifici saranno stati cancellati e l' Iraq sarà sotto la morsa di un' altra tirannia».
L' America ha insomma perso questa guerra?
«Ha perso la guerra, anche se ha vinto qualche battaglia: ha messo fine alla cruenta dittatura di Saddam Hussein, aiutato il governo curdo nel Nord e spezzato la dominazione sunnita del Paese. Ma il vero obiettivo non l' ha raggiunto».
A quale obiettivo si riferisce?
«L' obiettivo 1945. L' amministrazione Bush, di cui ho fatto parte, aveva un progetto moralmente molto elevato per creare un Iraq libero e prospero, basato implicitamente sull' esperienza Usa in Austria, Germania, Italia e Giappone nel 1945. Invece di chiedere risarcimenti ai nemici sconfitti, l' America allora accordò loro prestiti, aiutandoli nella ricostruzione dei Paesi distrutti».
Il metodo in Iraq non ha funzionato?
«Purtroppo ci siamo resi conto ben presto che il 1945 non poteva essere replicato in Medio Oriente nel 2003. È stato un enorme errore di valutazione, e una sconfitta, dover ammettere che il nobile intento di trasformare l' Iraq in un faro del Medio Oriente è fallito».
L' amministrazione Obama doveva restare?
«È stato l' allora presidente Bush, 4 anni fa, a firmare contro i miei consigli l' attuale ritiro. Una data arbitraria che non tiene conto della situazione sul terreno. Lo dico da repubblicano convinto».
Se si potesse tornare indietro cosa cambierebbe?
«Chiederei all' America di appoggiare un governo militare retto da un generale iracheno, guidandolo gradualmente verso la democrazia. Chiederei elezioni non dopo 23 mesi, ma 23 anni perché, come bene insegna la Cina, ci vuole tempo a passare da una cruenta dittatura alla democrazia. Avremmo dovuto inviare le truppe ai confini e in zone strategiche, non a pattugliare le strade di Falluja. Ci siamo solo fatti odiare. Ma ormai è troppo tardi per recriminare».
Pensa che l' attuale ritiro aiuterà il presidente Obama a essere rieletto?
«Al contrario, penso che due pericoli possano compromettere la sua rielezione: lo scoppio di una guerra civile in Iraq e un incremento dell' influenza iraniana nel Paese. Francamente sono sorpreso che Obama abbia deciso di rispettare la scadenza invece di proteggersi e rimandare il ritiro di almeno un anno. Se qualcosa andrà storto, i repubblicani potranno addossargli tutta la colpa».