La decisione di Yasser Arafat di porre sei palestinesi sotto la sorveglianza di secondini americani e britannici in cambio del suo personale rilascio dalla "prigionia" sta suscitando dei commenti eterogenei nelle strade arabe.
Ma l'errore principale dell'Autorità palestinese (Ap) colpisce più in profondità degli strategici passi falsi di questo tipo. La cosa ben più grave è perseguire una strategia fallimentare contro Israele. L'Ap non sembra rendersi conto del danno che sta facendo ai suoi obiettivi. Questo errore strategico alla fine costerà ai palestinesi la loro lotta contro Israele.
L'attuale serie di combattimenti – quello che definisco la guerra israelo-palestinese – è cominciata nel settembre 2000, quattro mesi dopo che Arafat e i suoi colleghi avevano visto come la costante violenza contro le truppe israeliane in Libano avesse demoralizzato la nazione israeliana e portato a una totale evacuazione delle forze israeliane dal Libano. Colpito dai risultati conseguiti dai libanesi, Arafat s'imbarcò in un tentativo analogo volto a distruggere Israele demoralizzando la sua popolazione, inducendo gli ebrei ad abbandonare il Paese, a trovare un accordo e alla fine capitolare.
Inizialmente questa strategia funzionò. Il 7 ottobre 2000, gli israeliani si ritirarono dalla Tomba di Giuseppe a Nablus, un luogo sacro agli ebrei, dopo che le truppe dello Stato ebraico finirono sotto il tiro di una folla di palestinesi. Nel catturare il sito, i palestinesi profanarono i testi sacri. Si sentivano incomprensibilmente esultanti, perché avevano sconfitto le potenti Forze di difesa israeliane.
Anche se tutto dava da pensare che Israele stesse scivolando in una sconfitta, è accaduta una cosa importante: un profondo cambiamento dello stato d'animo. Gli israeliani sono arrivati a capire che stavano combattendo per la loro sopravvivenza. Il Libano era solo un mezzo per difendere Israele e poteva essere ceduto, ma per Israele si doveva combattere.
Un popolo che solo qualche mese prima aveva insistito perché si ponesse fine al conflitto, ora ha accettato la necessità di combattere. Un popolo diviso è diventato unito. Una popolazione scoraggiata si è mobilitata. Si è recato in massa alle urne per votare un nuovo governo più duro guidato da Ariel Sharon.
I palestinesi, però, non si sono accorti di questo cambiamento. Ignari dell'effetto dell'accanirsi contro gli israeliani, essi hanno continuato gli attacchi suicidi e dei cecchini. In un clima di esuberanza, i palestinesi si sono accorti a malapena del danno che stavano recando alla loro causa. Ad esempio, l'uccisione del ministro del Turismo israeliano, avvenuta lo scorso ottobre, ha indotto Sharon a irrigidire la sua posizione contro Arafat e a non accettarlo come partner negoziale.
Allo stesso modo, il "Massacro di Pesach" – l'omicidio di 29 israeliani che stavano celebrando la festività della pasqua ebraica, perpetrato nel marzo scorso per mano di un attentatore suicida – non è affatto giovato ai palestinesi, ma ha portato allo smantellamento di fatto dell'Ap, alla morte di molti dei suoi combattenti e all'arresto di molte altre migliaia.
Anche se i palestinesi non riconoscono che la continua violenza contro Israele non funziona, i loro innumerevoli passi indietro delle ultime settimane sembrano almeno aver fatto sì che alcuni di loro si siano resi conto dell'entità dell'errore commesso.
Prevedo che questa fase della guerra palestinese contro Israele, che dura ormai da diciannove mesi, finirà abbastanza presto – probabilmente prima della fine di quest'anno. Prevedo anche che i palestinesi, quando ciò succederà, si troveranno alla deriva, con una strategia che si è dimostrata sbagliata, un'economia prossima al collasso e con una leadership divisa.
Paradossalmente, questo momento di oscurità e rovina, se ben compreso da una nuova leadership palestinese e gestito in modo corretto dal mondo esterno, potrebbe avere delle implicazioni molto positive.
In definitiva, solo il riconoscimento dell'esistenza di Israele da parte palestinese risolverà il conflitto arabo-israeliano. Questo significa che se i palestinesi riescono a imparare la lezione giusta dal loro fallimento rinunceranno al loro sogno che dura da mezzo secolo di eliminare Israele e sfrutteranno piuttosto i loro considerevoli talenti per costruire una vita migliore per loro stessi. E capiranno che liberarsi della loro stessa ossessione di distruggere Israele deve precedere qualsiasi progresso.
Se lo facessero, allora questo terribile momento, un giorno, sarà visto come contenente i germi di un futuro migliore.