In una settimana, Saddam Hussein rilascia gli ostaggi occidentali in Iraq e si dice d'accordo a scambiarsi delle visite ad alto livello con il presidente Bush, dando l'impressione che la guerra nel Golfo Persico è improbabile. Il suo passo successivo è quello di bloccare la visita a Baghdad del segretario di Stato Usa James Baker e i media iracheni ricominciano a pubblicare le orripilanti minacce contro gli americani. All'improvviso, la guerra sembra ancora essere probabile.
Che cosa sta facendo Saddam? Prepara il suo Paese a un ritiro dal Kuwait oppure lo prepara alla guerra contro l'America e i suoi alleati? Gli indizi che trapelano dalle sue dichiarazioni e dalle sue azioni denotano che lui è propenso a fare entrambe le cose.
Prepararsi al ritiro. Saddam Hussein bada a non comportarsi in maniera tale da poter ingaggiare guerra; dall'invasione, la sua condotta è caratterizzata dalla politica del "rischio calcolato" e non dall'avventatezza. Permettendo all'ambasciata Usa in Kuwait, che era cinta d'assedio, di tornare a essere rifornita di approvvigionamenti, ha eliminato uno dei casus belli da parte di Washington e il rilascio degli ostaggi occidentali ha eliminato l'altro.
Continuando a essere cauto, Saddam Hussein esprime a volte una profonda paura degli Stati Uniti. Egli dipinge il declino di Mosca come un beneplacito per Washington autorizzata a fare ciò che desidera – in particolar modo, conquistare il controllo del Golfo Persico. Saddam ritiene che, se Washington sfruttasse la sua nuova forza, potrebbe detenere il controllo del commercio petrolifero e pertanto potrebbe ingaggiare "impunemente" delle guerre in qualsiasi momento e ovunque, a suo piacimento. A volte, Saddam va oltre, per parafrasare ciò che lui dice essere un vecchio proverbio: "Anche se controlla quattro quarti di mondo, nessun leader militare può diventare il padrone del mondo se non ha il controllo di Babilonia". Pensando che il presidente Bush stia cercando di diventare padrone del mondo, Saddam è convinto che lui voglia impadronirsi dell'Iraq e delle sue ampie riserve petrolifere.
Inoltre, nonostante la natura megalomane, Saddam sa bene quando fare marcia indietro. L'improvvisa resa di fronte alle richiese iraniane dell'agosto scorso, con la rinuncia dei profitti ottenuti in otto anni di guerra brutale, ha mostrato due cose: che Saddam taglia le perdite quando è necessario e così facendo soggioga l'Iraq poiché lui può consentire anche un umiliante rovescio. Come osserva Jerald Post, uno psicologo politico: "Lui non è un martire; non si calerà in un dannato bunker se vede una via d'uscita, pur di salvare la faccia e rimanere al potere".
Poi c'è l'altra faccia del dittatore iracheno.
Prepararsi alla guerra. Dal 2 agosto, data dell'invasione del Kuwait, Saddam Hussein ha dimostrato di essere pronto a combattere. Quando George W. Bush ha annunciato che 150.000 soldati americani sarebbero stati inviati nel Golfo Persico, Saddam ha alzato la posta mobilitando altri 250.000 soldati iracheni. Quando il Consiglio di Sicurezza ha detto di appoggiare "tutti i mezzi necessari" per liberare il Kuwait, Saddam ha replicato che "se scoppierà la guerra, noi combatteremo in modo da rendere orgogliosi tutti gli arabi e i musulmani". In precedenza, Saddam aveva respinto le sanzioni economiche, schernito la flotta di navi da guerra nell'Oceano Indiano e aveva minacciato di annientare le truppe che lo avrebbero affrontato in Arabia Saudita e in Turchia.
Lungi dal mostrarsi in preda alla paura, Saddam ha preso una serie di misure provocatorie annettendo il Kuwait, incoraggiando le atrocità contro i kuwaitiani e trattenendo gli ostaggi occidentali. Tutti i negoziatori sono tornati da Baghdad senza ottenere una sola concessione sul ritiro dal Kuwait. Dicendo di essere "troppo occupato" per incontrare il segretario di Stato Baker prima del 12 gennaio, Saddam ha pubblicamente irriso il presidente Bush.
La leadership irachena descrive l'America come un colosso militare che manca della volontà di combattere il suo piccolo ma coriaceo Paese. Ricordando i fiaschi americani in Vietnam e in Libano, essa reputa incapace l'amministrazione americana e ritiene che la popolazione sia stupida. Come asserisce un diplomatico iracheno: "Gli americani non sono pronti a pagare il prezzo di una guerra con l'Iraq". Lo stesso Saddam ha detto all'ambasciatore Usa che "la vostra è una società che non riesce ad accettare diecimila morti in una battaglia". Baghdad ascolta attentamene per dissentire le voci americane; durante un dibattito svoltosi alle Nazioni Unite sull'uso della forza, l'ambasciatore iracheno ha parafrasato il senatore Bob Kerrey, democratico del Nebraska. I quotidiani iracheni citano regolarmente i senatori democratici. Nel rilasciare gli ostaggi occidentali, Saddam ha menzionato in modo specifico la maggioranza democratica del Senato Usa.
Il macellaio di Baghdad ha dimostrato di essere un uomo dalle ambizioni sfrenate e dalla pomposa autostima. Nei discorsi egli dice (usando la terza persona) che Saddam Hussein "sarà nel latte dato ai bambini" e che "gli iracheni ammirano Saddam Hussein più di quanto gli americani ammirino Bush". Lui ritiene di essere un moderno Nabucodonosor – un leader dalle grandi aspirazioni e dallo storico destino. Ogni giorno i media iracheni strombazzano "la leadership eroica" di Saddam come l'unico freno ai piani americani di dominare il mondo. Egli mostra altresì una spiccata tendenza al martirio: "Sento il respiro del paradiso", disse a Yasser Arafat agli inizi della crisi. Questo non è un uomo che evita lo scontro.
Infine, come ha rilevato Fouad Ajami della John Hopkins University, le informazioni che raggiungono Saddam sono probabilmente assai distorte. Timorosi per le loro vite, i suoi collaboratori evidenziano le buone notizie e sopprimono le cattive. Se possono fornire dei dettagli esaustivi sui recenti dati dei sondaggi che mostrano come gli americani siano riluttanti ad affrontare l'Iraq, probabilmente però non lo informeranno che il 54 per cento della popolazione degli Usa ritiene che il riuscire a evitare che Saddam Hussein acquisisca armi nucleari sia un motivo "sufficiente" per entrare in guerra.
Man mano che il 15 gennaio si avvicina, quale delle due facce di Saddam predominerà?
La paura che ha Saddam del governo americano sembra essere un costrutto teorico; lui se ne preoccupa quando si sofferma a riflettere sulle tendenze mondiali. Di contro, le sue decisioni operative sembrano essere guidate dal disprezzo per il potere americano che lui considera forte e reale. Come molti tiranni prima di lui, Saddam disdegna le libertà, gli alterchi e l'auto-indulgenza della vita americana. Egli può ricordare a se stesso che abbiamo sconfitto Hitler e siamo sopravvissuti al Cremlino, ma in cuor suo Saddam probabilmente pensa che questo sia stato ottenuto con l'inganno a grazie alla fortuna. In teoria, poi, lui ha paura degli Usa; ma una forte animosità verso questo Paese e verso tutto ciò che esso rappresenta distorce le sue percezioni. Un odio viscerale, e non un rispetto cerebrale, sembra guidare il processo decisorio di Saddam.
Quelli che hanno una lunga esperienza in fatto di uomini tendono a concordare con questa valutazione. La leadership iraniana crede che lui si stia preparando alla guerra; Jalal Talabani, leader curdo e uno dei più vecchi e acerrimi nemici di Saddam, pensa che lui "non ritirerà mai le sue truppe dal Kuwait".
Se hanno ragione, allora il 14 gennaio non sarà certo una dimostrazione di forza da parte degli Usa né mandare su di giri i motori a intimidire Saddam Hussein. Se gli americani fanno sul serio a voler portare fuori dal Kuwait le truppe irachene, devono aspettarsi l'uso della forza.