Nel maggio 1966, esattamente un anno prima che la Siria perdesse le alture del Golan a vantaggio di Israele, il ministro della Difesa siriano Hafez Assad prevedeva un futuro conflitto totale con lo Stato ebraico: "Non chiederemo mai, non accetteremo la pace. Accetteremo solamente la guerra e la restituzione della terra usurpata [vale a dire Israele]. Abbiamo deciso di bagnare questa terra con il nostro sangue, di estromettervi, voi aggressori, e di gettarvi in mare, una volta per tutte".
Non accettare mai la pace? Assad, ora presidente della Siria, nel corso degli ultimi tre anni ha detto a Israele di porre fine al conflitto. Contrariamente alla sua promessa solenne del 1966, egli offre a Israele "la pace dei prodi, la pace dei cavalieri". Assad propone "una pace totale in cambio di un ritiro integrale" e propone altresì di "soddisfare i requisiti oggettivi della pace che sono stati concordati". Nel frattempo, il ministro degli Esteri parla in realtà di creare una "pace calda" con Israele.
Questa settimana, il segretario di Stato Warren Christopher ha programmato una visita a Damasco. Christopher non ha previsto nessuna svolta, ma prima di partire ha detto: "Non ci andrei se non pensassi che ne vale la pena. È un momento molto importante nel percorso siriano".
Che cosa significa questo cambiamento? Assad ha veramente rinunciato alle sue vecchie abitudini e ha accettato lo Stato ebraico? I suoi passi sono contrastanti e la verità è che lo stesso Assad non sa cosa accadrà in seguito.
Tuttavia, alcuni fatti evidenziano dei grossi cambiamenti. Il regime ha preso delle misure modeste ma pragmatiche per preparare i siriani a un accordo con Israele: la parola "pace" e i suoi sinonimi hanno rimpiazzato "fermezza" e "confronto" come leitmotiv nei discorsi pubblici su Israele. La copertura mediatica siriana di Israele non mostra più un'implacabile ostilità. In modo più plateale, la televisione siriana ha trasmesso in diretta e integralmente l'incontro alla Casa Bianca tra Re Hussein e il premier Yitzhak Rabin, inclusa la preghiera di Rabin in ebraico. Qualche giorno dopo, l'emittente ha trasmesso il sorvolo senza precedenti d'Israele da parte di Re Hussein.
Più in generale, i media siriani hanno trattato correttamente la storia giordano-israeliana, senza falsificare o distorcere i fatti.
Lo scorso anno, i contatti tra i siriani e gli israeliani sono proliferati. Un giornalista israeliano è entrato in Siria con un lasciapassare e dei diplomatici siriani a Berlino hanno accolto pubblicamente le loro controparti israeliane. Il ministro dell'Economia e del Commercio estero ha rilasciato un'intervista a un quotidiano israeliano e un attaché amministrativo all'ambasciata siriana a Londra ha detto a un altro giornale di Tel Aviv che gli israeliani che viaggiano con passaporto non-israeliano sono i benvenuti nel suo Paese. Nel luglio 1994, l'incaricato d'affari siriano ha presenziato all'incontro tra Re Hussein e Rabin e ha stretto la mano a Rabin.
La distanza enorme tra la politica di Assad degli anni Sessanta e quella attuale ha convinto i governi Usa e israeliano del fatto che lui avesse preferito la pace con Israele, rimaneva solo da definire i dettagli. Dopo un incontro maratona con Assad nel gennaio 1994, fu chiesto al presidente Clinton se il leader siriano si sarebbe seriamente impegnato a normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico. Senza alcuna esitazione lui rispose: "La risposta secca è sì". Quanto agli israeliani, il ministro degli Esteri Shimon Peres ritiene che "Assad ha preso la decisione strategica di optare per la pace". Uri Saguy, capo dell'intelligence militare israeliana, sostiene che Assad è pronto a fare la pace. Yossi Olmert, un ex-negoziatore con la Siria per il Likud parla anche di un "ripensamento della Siria" riguardo a Israele.
La sensazione che si tratta solo di una questione di definire i dettagli ha creato un'atmosfera carica di attesa. La stampa araba riporta che Damasco e Gerusalemme dovrebbe conseguire dei "progressi tangibili" entro la fine del 1994, mentre Fawaz Gerges dell'Università di Princeton ha profetizzato nel Los Angeles Times che "una svolta nei negoziati di pace israelo-siriani è imminente".
Ma l'operato di Assad presenta un lato più oscuro, che solleva degli interrogativi non solo sulle attuali politiche ma anche sulle intenzioni a lungo termine del governo a Damasco.
Sì, Assad ha inviato dei diplomatici a Washington per degli incontri ufficiali e diretti con gli israeliani. Ma allora perché ha condannato i suoi rapporti con Israele? Quella è stata una mossa insolita di un anno fa, quando la Siria ha votato contro una risoluzione delle Nazioni Unite esprimendo la speranza dell'Assemblea Generale di "realizzare un rapido progresso in altri binari dei negoziati israelo-siriani" – un riferimento ai colloqui con la Siria e il Libano!
Ci sono molti altri piccoli ma inquietanti segnali. Il governo libanese (una filiale di Damasco) ha accusato la reginetta di bellezza del Libano, Ghada at-Turk, di collaborare con il nemico per aver posato in una foto insieme a Miss Israele. Assad ha proibito ai giornalisti israeliani di partecipare alla sua conferenza stampa con Bill Clinton. La stampa siriana ha redarguito l'Oman per aver ospitato una delegazione israeliana ai negoziati di pace multilaterali e ha mosso delle critiche agli Emirati arabi uniti per non aver adottato dei libri di testo antisemiti. Un manuale per gli insegnanti siriani, pubblicato nel 1994, intima loro di presentare ai propri allievi "la liberazione delle terre occupate nel 1967 come un obiettivo intermedio". Nel maggio 1994, Damasco ha cercato di contenere il boicottaggio economico di Israele in atto finché lo Stato ebraico non si fosse ritirato da tutti i territori occupati nel 1967.
I media siriani hanno continuato a mostrare una forte ostilità sulla questione di Israele, utilizzando termini come "Palestina occupata", "Gerusalemme occupata", "nemico sionista" e "l'entità sionista". Essi esultano per l'uccisione di cittadini israeliani e giustificano il terrorismo contro gli israeliani parlando di giusta punizione. La stampa continua a pubblicare di tanto in tanto dei deliranti articoli contrari a Israele. Nel maggio 1994, il Times siriano in lingua inglese ha pubblicato un pezzo che sosteneva la tesi che gli ebrei americani sono giuridicamente dispensati dal pagare le tasse negli Usa e che il 30 per cento dei vescovi protestanti degli Stati Uniti sono di origine ebraica e non hanno mai rinnegato il giudaismo. Lo stile diplomatico ermetico di Assad – che utilizza costruzioni passive, astrazioni e tortuosità nei suoi discorsi – esprime un'estrema riluttanza ad accettare Israele; ma potrebbe denotare un intento a non voler abbandonare l'opzione negazionista, un'impressione rafforzata dall'aumento costante della forza militare siriana dalla guerra del Kuwait. È stata dispiegata una nuova divisione armata e una brigata di missili Scud-C è in formazione. Aerei e carri armati affluiscono in Siria da tutto il mondo. I missili ora colpiscono la maggior parte della popolazione israeliana. Damasco possiede migliaia di bombe e di testate chimiche, e sembra essere quasi pronta a produrre un'arma [batterica equipaggiata] con agenti tossici come l'antrace, che è letale, e sta iniziando la ricerca nucleare. Complessivamente, secondo fonti dell'intelligence israeliana, dalla guerra del Kuwait, Damasco ha speso 1,4miliardi di dollari negli sforzi di ammodernamento militare; e il budget militare corrisponde al 44 per cento di quello nazionale.
La Siria si è impegnata a più riprese in un impressionare potenziamento delle proprie forze armate, ma gli sforzi successivi al 1991 sono stati senza precedenti in termini di dimensioni, qualità e portata; per la prima volta, gli armamenti siriani sfidano non solo le Forze di difesa israeliane, ma anche la popolazione civile israeliana. Alla fine del 1991, gli analisti israeliani giunsero alle conclusioni che l'esercito siriano aveva raggiunto una posizione più forte che mai riguardo a Israele. Nel giugno scorso, il premier israeliano ha dichiarato di "non riuscire a rammentare che in passato una simile quantità di armi e del tipo più avanzato sia mai arrivata in Siria".
In antitesi con la diffusa aspettativa di una svolta, i leader israeliani e siriani hanno pubblicamente raffreddato gli entusiasmi. Rabin dice argutamente che se la recente condotta di Assad "mostra una certa disponibilità alla pace da parte della Siria, allora non so cosa sarebbe l'opposizione alla pace". Assad afferma che "Finora non è stato fatto nessun progresso significativo in seno al processo di pace".
Conformemente a queste valutazioni pessimistiche, alcuni analisti americani e israeliani concludono che Assad non ha in realtà optato per la pace. Il Washington Post ha pubblicato un editoriale in cui si legge "Non è affatto chiaro che ciò significhi più un Assad che faccia il nazionalista e reclami il Golan piuttosto che un Assad che faccia l'attivista e continui a utilizzare il territorio come una questione che dimostri la sfida lanciata ad Israele dalla Siria". Barry Rubin scrive che "una situazione 'né di pace né di guerra' – forse con delle nuove garanzie – sembrerebbe alla Siria più allettante di una risoluzione diplomatica coronata da un trattato di pace e di mutuo riconoscimento". Anche il capo di Stato maggiore israeliano, Ehud Barak, si è detto "non affatto sicuro che la Siria sa per certo che ci sarà la pace con noi".
Assad persegue al contempo delle opzioni politiche e militari riguardo a Israele, che lo mostrano amico e nemico. Lui partecipa ai negoziati patrocinati dagli Usa, ma parla come un nazionalista arabo. Assad cerca, a detta dell'attuale capo negoziatore israeliano, di "dimostrare all'opinione pubblica araba che, anche se riuscirà a far avanzare il processo di pace, non ha abbandonato i suoi principi" e non è un obiettivo facile.
In poche parole, Assad tiene aperte le opzioni: pur compiacendo gli Stati Uniti parlando a Israele, lui mostra allo zoccolo duro degli antisionisti che il suo cuore resta con loro. Accenna alla disponibilità a collaborare con Washington per fare la pace con Israele, se sarà necessario; possibilmente però preferirebbe fargli guerra con i suoi amici iraniani.
Assad tiene d'occhio un'evoluzione nella politica siriana, da un confronto militare diretto a un conflitto più sfumato che implichi la diplomazia e anche le forze armate. La difficoltà sta nel fatto di stabilire esattamente cosa ciò significhi, un riconoscimento graduale dello Stato ebraico o un modo più sottile di cercare di eliminare Israele. Assad intende utilizzare la diplomazia per fare veramente la pace o per guadagnare tempo? I suoi cambiamenti sono strategici o tattici? La prova non è chiara e si presta a delle interpretazioni contrarie.
L'aspettativa ampiamente diffusa che presto Assad sarà sul prato della Casa Bianca potrebbe rivelarsi erronea. Se sarà costretto ad accettare l'esistenza di Israele, Assad lo farà di malavoglia e in modo elusivo. Probabilmente cercherà di optare per una via di mezzo: una semipace semiostile. Se la pace dell'Egitto con Israele è fredda, quella della Siria sarà, con ogni probabilità, glaciale.
Allo stesso tempo, nel corso dell'ultima decade Washington (e anche altre capitali dell'Occidente) ha mostrato una grande pazienza con il regime di Assad, accordandogli il beneficio del dubbio, non sottoponendolo alle stesse misure rigide applicate a molti altri Stati canaglia del Medio Oriente. È arrivato il momento di una politica più energica che eserciti in modo efficace delle pressioni su Assad perché lui faccia pace con Israele. E tenuto conto dell'odierna vulnerabilità della Siria, questo non dovrebbe essere molto difficile da realizzare, ma bisogna essere pronti ad affrontare Damasco, qualcosa che la politica notoriamente morbida degli ultimi anni ha evitato.
Il governo Usa dovrebbe perdere la pazienza con le tergiversazioni di Assad ed esigere dei cambiamenti inequivocabili. Dovrebbe presentare ad Assad una scelta ben precisa da compiere: "O con noi o contro di noi". Lui potrà collaborare con l'Occidente o entrare in rotta di collisione con esso; potrà apportare dei cambiamenti sostanziali o attenersi alla politica dell'ultimo quarto di secolo. Sta a lui la scelta, e questo Assad deve comprenderlo, e non può sottrarsi ad essa.