Perplessi per l'ampio divario tra le evidenti capacità degli arabi e i successi molto modesti da loro conseguiti nel XX secolo, Pryce-Jones sviluppa uno schema abbastanza elaborato per spiegare quale sia a suo avviso il fallimento degli arabi. Nel libro, egli perfeziona tre concetti. La dialettica che contesta il potere consiste in una serie interminabile di individui che cercano l'autorità come fine a se stessa: chi vince governa in maniera dispotica, quelli che non ci riescono languiscono in prigione. Il nesso denaro-favori è l'equivalente civile: chi ha i soldi li ostenta, chi non li ha languisce nella misera. Vergogna e onore sono la polarità che domina la vira privata, in particolare le relazioni tra i sessi.
In un continuo sforzo, l'autore applica questi tre concetti per spiegare fenomeni diversi come la carriera dell'Ayatollah Khomeini, i cambiamenti avvenuti in seno alla società israeliana dal 1967, il comportamento delle compagnie petrolifere occidentali e perfino i temi predominanti della moderna letteratura araba. L'autore ha fatto molte letture e ha riflettuto attentamente sulla situazione araba e il risultato è del tutto deprimente. Egli ha il coraggio di documentare ciò che pochissimi occidentali ma tanti osservatori arabi hanno osato discutere, ossia quei 150 milioni di arabi che risentono del governo utilitaristico dei leader militari. Qualcuno può dire che Pryce-Jones sia per questo anti-arabo, ma l'accusa sarebbe falsa, perché egli fa un favore alle popolazioni arabe asservite documentando in modo così dettagliato la loro condizione difficile. Solo i governanti (e i loro apologeti) avranno motivo di lamentarsi. Il circolo chiuso è un punto di riferimento per comprendere la politica mediorientale.