Da quando il governo americano ha annunciato nel marzo 2004 i programmi per costruire "la più grande ambasciata mai edificata in nessun paese", io ne ho seguiti gli sviluppi, dileggiando le sue dimensioni mastodontiche (si estende su 21 acri), i costi eccessivi (750 milioni di dollari), il personale più che sproporzionato (16.000) e il budget annuale (6 miliardi di dollari). Mi sono altresì lamentato dell'ubicazione dell'ambasciata, situata nei terreni sui quali si ergevano i vecchi palazzi di Saddam Hussein, ho criticato che sia un complesso edilizio autonomo e isolato e sono rabbrividito al pensiero delle implicazioni provocatorie di questa mostruosità diplomatica. Per una panoramica si veda il mio articolo su quest'argomento: "Un elefante bianco a Baghdad".
Uno degli edifici dell'ambasciata Usa a Baghdad. |
Commenti:
1) È questione di tempo. Su che pianeta vive il Dipartimento di Stato? Non ha mai pensato che gli iracheni potrebbero essere risentiti di questa intrusione diplomatica?
2) Studiare un po' di storia musulmana avrebbe reso questa conclusione ovvia.
3) Il governo americano ha una storia di disimpegno onorevole dai paesi che gli Usa conquistano e occupano; e l'Iraq non fa eccezione, con tutte le forze che si sono ritirate quasi nove anni dopo l'invasione, con il governo locale al quale è stato permesso non solo di assumere il controllo ma anche di intimidire gli americani.
4) C'è una tradizione informale secondo la quale in qualsiasi parte del mondo il Dipartimento di Stato costruisce le proprie ambasciate di grosse dimensioni, e poi seguono dei problemi. Saigon e Teheran sono stati gli esempi precedenti. Ora tocca all'Iraq e in ordine gerarchico la prossima sarà Pechino.