La fase uno degli sconvolgimenti mediorientali era costituita da due colpi di stato incredibilmente analoghi in Tunisia e in Egitto. In entrambi i Paesi, le manifestazioni di piazza hanno indotto l'establishment militare/e della sicurezza a sbarazzarsi di un presidente avido e impopolare. Gli avvenimenti si sono susseguiti in modo così veloce perché, di fronte a un rifiuto del potere istituzionale da parte delle loro stesse basi, il presidente Ben Ali e Mubarak non hanno avuto altra scelta se non quella di dimettersi. I due sono stati rapidamente rimpiazzati da un altro leader militare/della sicurezza che ha mantenuto la maggior parte delle istituzioni, delle pratiche e delle politiche governative. Né i liberali né gli islamisti hanno cambiato molto le cose nei successivi sei mesi.
La fase due consiste nella caduta quasi certa del regime di Gheddafi in Libia e del rovesciamento della dinastia degli Assad, in Siria, e del regime di Saleh, nello Yemen. In tutti e tre i casi, è in corso una rivoluzione. Se questi leader dovessero cadere, verranno meno anche le istituzioni messe da loro in piedi, portando al caos e infine alla creazione di un governo interamente nuovo. Nel caso della Siria e dello Yemen, non ci potrebbe essere nessun governo centrale effettivo, ma la devoluzione dei poteri alle regioni, alle etnie, ai gruppi ideologici o alle tribù.
In altre parole, la seconda fase è più importante della prima. Inoltre, i cinque stati sopra citati potrebbero non essere gli unici in gioco. L'Algeria e la Giordania potrebbero subire processi simili di sconvolgimento e rivoluzione. E per di più, prendendo spunto dalle rivolte represse del 2009, qualche piccola scintilla potrebbe scatenare una conflagrazione in Iran, il Paese più disturbatore del Medio Oriente.
Potrebbe far seguito anche la fase tre, che vedrà verificarsi delle rotture regionali. Tra i primi candidati, l'Arabia Saudita, l'Iraq e la Turchia.
In breve, potremmo essere solo all'inizio di una corsa selvaggia nella regione più instabile del mondo.