Negli ultimi cinque mesi e mezzo si è parlato di "primavera araba" per descrivere impropriamente le turbolenze in Medio Oriente; Google menziona l'espressione 6,2 milioni di volte, contro 660.000 per "rivolta araba" e solo 57.000 per "sconvolgimenti arabi". Ma io non uso mai questa espressione e non lo faccio per tre motivi:
1. È inesatta sul piano della stagione. I disordini sono cominciati in Tunisia il 17 dicembre 2010 sul finire dell'autunno e i principali avvenimenti sono accaduti durante l'inverno – le dimissioni di Ben Ali del 14 gennaio, quelle di Mubarak rassegnate l'11 febbraio, i disordini in Yemen scoppiati il 15 gennaio e in Siria il 26 gennaio e poi le sommosse in Bahrein e in Iran del 14 febbraio e per finire la rivolta libica del 15 febbraio. La primavera è quasi terminata e poco o nulla è accaduto negli ultimi mesi. Quindi, a voler essere precisi, si dovrebbe parlare di "inverno arabo" (espressione che è menzionata 88.000 volte su Google).
2. Questa espressione implica un ottimismo ingiustificato riguardo all'esito. Benché io rilevi l'emergere di un nuovo spirito costruttivo sia in Piazza Tahrir sia altrove, e nonostante apprezzi le sue opportunità a lungo termine, le conseguenze a breve termine sono state un depauperamento e migliaia di vittime, senza poter scartare l'eventualità di una svolta islamista.
3. Le manifestazioni di protesta svoltesi in Iran nel 2011 non riescono per nulla a raggiungere le proporzioni di quelle del 2009, ma esse hanno avuto luogo nel febbraio scorso e rischiano di infiammarsi – in tal caso, la loro importanza sovrasterebbe ogni altra cosa che accade nella regione. Pertanto, è un errore trascurare l'Iran.
Così, a mio avviso, non c'è nessuna "primavera araba". (E non sto qui a dire che questo termine mi evoca l'immagine di un'oasi nel deserto.) Preferisco delle espressioni neutre e appropriate come "sconvolgimenti mediorientali" (87.000 menzioni su Google).
Primavera araba? |