Parecchi punti erano troppo voluminosi per poterli inserire nel corpo principale della mia analisi "Ma solo se crolla Damasco la primavera araba può fiorire", pertanto li includo qui di seguito:
(1) Il mio titolo riecheggia intenzionalmente quello di un articolo pubblicato dalla rivista Foreign Policy nell'estate 1980 e titolato "Dateline Syria: Fin de Régime?" Sì, lo so: Stanley F. Reed III è stato precipitoso, anticipando i tempi di (almeno) 31 anni, ma questo non mi scoraggia dal reiterare la sua semiprevisione della fine di Assad.
(2) I contraddittori consigli iraniani e turchi dati ad Assad prefigurano nel futuro delle differenze ancora maggiori tra le due potenze islamiste. Mentre gli iraniani hanno consigliato ad Assad di reprimere con violenza i manifestanti e di fatto lo hanno aiutato a farlo, Recep Tayyip Erdogan ha suggerito ad Assad che "rispondere positivamente alle annose richieste della gente, con un approccio riformista, aiuterebbe la Siria a superare i problemi con maggiore facilità". Ed è perfino entrato nei dettagli: un articolo di un quotidiano mostra che lui ha detto ai siriani "di accrescere l'efficacia dei servizi pubblici, di garantire un'economia più trasparente e delle gare d'appalto pubbliche e di contenere le forze di sicurezza". (Non sono esattamente queste le priorità che sottolineerei.) Le contraddittorie strategie dell'Iran e della Turchia mettono in evidenza delle incombenti tensioni tra il regime islamista 1.0 e quello 2.0.
(3) Il governo Assad insiste sul fatto che i manifestanti che gremiscono le piazze sono salafiti, o islamisti violenti, e che occorre proteggere il paese da loro. Come asserisce un politico filogovernativo, il regime non può permettersi che "alcune persone annuncino un emirato salafita a Dara'a. Questo non è l'Afghanistan". I salafiti e altri islamisti sono un grosso pericolo in Medio Oriente ma, come in Libia, sono lungi dall'essere il perno dell'opposizione.
(4) La rivista Vogue è impenitente, e perfino provocatoria, riguardo alla sua brutta storia su Asma, la moglie di Bashar al-Assad. In un'intervista, il redattore capo Chris Knutsen ha giustificato la magnificazione della tirannide, spiegando che:
Abbiamo pensato che avremmo potuto dischiudere quel mondo molto chiuso. (…) Il pezzo non intendeva in alcun modo essere un referendum sul regime di Assad. Era un profilo della first lady. (…) Per i nostri lettori è un modo di aprire leggermente una finestra in questo mondo.
(5) Un membro di spicco della lobby siriana d'Occidente, Patrick Seale, si è di fatto tirato fuori dal regime. Egli è sposato con una siriana, Rana Kabbani, che ha pubblicato un mordace articolo: "Dai turchi ad Assad: per noi siriani è tutto brutale colonialismo", che di certo ha interrotto la connessione di Seale con Damasco. Un estratto dalla sua feroce analisi:
L'arroccato regime di Assad è visto da molti siriani come un colonialismo interno che, proprio come il colonialismo esterno del passato, li ha derubati, bombardati e ha impedito loro di unirsi ai popoli liberi del mondo.