Circolano due sostanziali spiegazioni che affrontano questo interrogativo di scottante attualità:
È colpa dell'Unione europea. Il segretario di Stato americano alla Difesa Usa Robert Gates dice che se la Turchia sta muovendosi, come egli ha asserito con delicatezza, verso Est ciò è avvenuto "in gran parte perché è stata spinta, e spinta da qualcuno in Europa che ha rifiutato di dare alla Turchia quel tipo di legame organico con l'Occidente che Ankara andava cercando".
È colpa dell'islam. Un mio lettore sostiene che la rivoluzione di Atatürk, avvenuta circa novant'anni fa, "recava in sé tutti gli ingredienti del successo (occidentalizzazione, modernità, secolarismo, democrazia, crescita economica): e questi non vennero imposti dall'esterno, ma provenivano organicamente dall'interno. Il fatto che l'esperimento di Atatürk sia rapidamente fallito evidenzia la futilità del provare a modernizzare l'islam".
Non sono d'accordo con queste spiegazioni (la Turchia non risponde affatto agli affronti occidentali; e il fatto che essa strizzi l'occhio all'islamismo è un caso isolato, non prova nulla circa l'islam). Piuttosto offro una terza spiegazione:
È colpa delle circostanze storiche: 1) le norme turche prevedono che un partito ottenga un minimo del 10 per cento di voti per entrare in Parlamento. 2) Negli anni Novanta l'elite politica secolarista si frammentò in tanti piccoli partiti i cui leader egocentrici rifiutarono di unire le loro forze. Tenendo a mente questi due fattori, si guardi dunque agli esiti elettorali delle parlamentari del 2002 e si pianga:
I partiti di centro-destra e di centro-sinistra esclusi dal Parlamento avevano il 9,5, l'8,3, il 7,2, il 6,2 e il 5,1 per cento dei voti, complessivamente raggiungevano la soglia del 36,3 per cento. Aggiungendo quelle percentuali al 19,4 del Partito repubblicano del popolo, tutti insieme controllavano il 55,7 per cento della Camera. Se quel branco di tiranni egoisti dei partiti avessero unito gli sforzi sarebbero stati rappresentati in Parlamento e i secolaristi probabilmente sarebbero ancora al potere.
Commento. Questo disaccordo ha delle importanti implicazioni. Se l'una o l'altra delle due spiegazioni è corretta, la Turchia è stata persa definitivamente. Ma se è esatta la mia spiegazione, allora il fatto che Ankara tende a muoversi verso l'islamismo è dovuto a una fatalità di personaggi e norme di cui potersi disfare. Il Paese può risalire dall'abisso. Noi che apprezziamo la Turchia di un tempo non dobbiamo rinunciare al Paese, ma dobbiamo lavorare per far sì non si allontani, esercitando cautamente delle pressioni, pur lavorando con gli alleati turchi.
Aggiornamento del 10 giugno 2010. I lettori menzionano altre due importanti spiegazioni.
È colpa dei cambiamenti demografici. L'analista francese Michel Gurfinkiel focalizza l'attenzione sulla discontinua crescita delle popolazione nel secolo scorso. Come egli spiega:
Le zone rurali dell'Anatolia centrale e orientale hanno conosciuto una forte crescita sotto Atatürk e Inönü, e sono state le principali responsabili dell'aumento demografico del Paese, passando da 14 milioni di abitanti nel 1923 a 21 milioni a partire dal 1950. Da allora l'intera popolazione è più che triplicata arrivando fino a 70 milioni, e la maggior parte della crescita è avvenuta nelle zone rurali o fra la prima generazione di immigrati rurali nelle grandi città. Di conseguenza, gli eredi politici [del partito di opposizione vicino al mondo dell'Anatolia rurale], i Democratici – essi includono il Partito della Giustizia di Süleyman Demirel negli anni Sessanta, il Partito conservatore della madrepatria di Turgut Özal negli anni Ottanta e per finire gli islamisti – hanno goduto di un vantaggio sempre più crescente sul vecchio Partito repubblicano del popolo e sui suoi eredi.
Detto in altro modo, ancora Gurfinkiel, osservando il guadagno di voti per i partiti politici estremisti su un periodo di vent'anni, scrive:
Nel 1987, gli estremisti, tutte le correnti, ottengono il 10,1 per cento dei voti. Ma nel 1991 passano al 16,9 per cento, nel 1995 al 29,9 per cento, nel 1999 al 34,9 per cento, e poi nel 2002 al 54 per cento, e per finire nel 2007 al 66,2 per cento. E fra loro, gli islamisti sono nettamente in testa: dal 7,2 per cento nel 1987, essi passano al 36,8 per cento nel 2002 e poi al 48,9 per cento nel 2007. A partire dal 1993, tutte le grandi città turche hanno dei sindaci islamisti. Nel 1996, dopo interminabili querelle che screditano la destra classica, il presidente conservatore Süleyman Demirel fa appello a Erbakan perché questi diriga un governo di coalizione che riunisca gli islamisti e una parte dei conservatori.
È colpa del denaro islamista. I sauditi, i libanesi e altri per anni hanno fatto passare dei soldi in Turchia. Non conosco alcun saggio su questo argomento pubblicato prima del 2002 (anche se ho toccato la questione in un mio libro uscito nel 1983). Michael Rubin affronta questo tema dopo l'ascesa al potere dell'Akp nel volume Green Money, Islamist Politics in Turkey, in cui egli stabilisce un "modella che constata un legame della politica interna ed estera turca con l'afflusso di ciò che viene chiamato [in lingua turca] Yesil Sermaye, "denaro verde", proveniente dai ricchi uomini d'affari islamisti e dai Paesi mediorientali".
Commenti. 1) La tesi demografica mette in evidenza dei cambiamenti più ampi nella vita turca. Ma gli islamisti sono una speciale forma di "anatolici" e il loro 1/3 dell'elettorato nel 2002 ha raggiunto il potere solo a causa delle ragioni sopra enunciate. 2) La spinta finanziaria dall'estero c'è stata nel corso dei decenni, ma solo quando le regole parlamentari le hanno dato campo libero.
Aggiornamento dell'11 giugno 2010: Per saperne di più sull'impatto avuto da Turgut Özal sull'ascesa degli islamisti, si veda il documentato commento di Ognyan Minchev.
E un lettore replica con una certa foga alla tesi di Robert Gates che i sentimenti turchi sono stati feriti dagli europei: "Erdogan è stato l'amato principe azzurro dell'Europa. Perfino del Vaticano! Gli europei hanno visto in lui il modello dell'islam moderato con cui si può vivere. Solo quando Erdogan ha cominciato a mostrare il suo vero volto essi hanno iniziato – gradualmente e in modo riluttante, e senza credere veramente a ciò che stava accadendo – a rifiutare la sua richiesta di adesione all'Unione europea".