Dal momento che gli ultimi decenni sono stati afflitti dal terrorismo islamico e dalle guerre in Medio Oriente, l'Islam ha occupato una posizione focale nel discorso politico occidentale. E Daniel Pipes si trova al centro di questo dibattito, offrendo a decine di milioni di persone le sue penetranti analisi. Questo certosino lavoro ha fatto sì che Pipes diventasse un'autorità nelle questioni legate all'Islam e al Medio Oriente. Oltre a fornire delle analisi attraverso il suo sito web personale e del Middle East Forum, da lui fondato, Pipes viaggia per il mondo, facendo delle conferenze nelle un'università, ospite di thnik tanks e non solo. Le sue apparizioni causano spesso disordini e proteste, ottenendo al contempo un appoggio incondizionato.
Ci siamo trovati con lui a discutere di Israele, di Iran, della presidenza di Barack Obama e di altre questioni di attualità. Si è lasciato andare al ricordo di un dibattito – che considera il momento clou della sua carriera – tenutosi a Londra nel 2007 in cui lui e il neo-conservatore britannico, Douglas Murray, hanno stracciato i loro avversari, il sindaco di Londra Ken Livingstone e Salma Yaqoob, un'esponente politico del locale Respect-Party, di Birmingham.
Pipes ha delle parole dure per la leadership politica israeliana. Secondo lui, Israele sta semplicemente cercando di farcela quando le crisi si presentano; la sua leadership manca di una visione strategica o di un piano per affrontare le basilari questioni riguardanti la sicurezza. Secondo Pipes, Israele è diventato l'esatto opposto di ciò che il giovane Paese era negli anni Cinquanta e in seguito, quando era guidato da una talentuosa leadership dotata di una visione degli interessi a lungo termine dello Stato ebraico.
L'intervista è stata realizzata a Hertzliya, in Israele, il 16 settembre 2010.
Israele ha bisogno di una politica
D: Israele ha rinunciato all'idea della vittoria?
Daniel Pipes: Direi che sta tentando di vincere: non ho idea come.
D: Lei è d'accordo con il fatto che la comunità internazionale impedisca a Israele di vincere?
Daniel Pipes: No. È un problema interno. Dal 1948 al 1993 Israele ha avuto una politica di deterrenza che implicava l'obiettivo della vittoria. Nel 1993, i suoi leader adottarono una politica di appeasement, vale a dire dare qualcosa al nemico nella speranza di essere lasciati tranquilli. Questa politica venne abbandonata nel 2000 a favore dei ritiri unilaterali che poi ebbero fine nel 2006. Ora non c'è nessuna politica.
Il governo di Israele non sta cercando di andare da nessuna parte; sta semplicemente tentando di spegnere gli incendi del sottobosco. Che cerca di fare a Gaza, per esempio? Tenta di liberarsi di Hamas? Tenta di ottenere che l'Egitto lo rimpiazzi? Oppure cerca di ottenere la liberazione di Gilad Shalit? Interpreto tutto questo come una mancanza di obiettivi politici. Non è una questione di pressioni esterne.
D: Israele ha bisogno di questo genere di politica ferrea, di una chiara visione del futuro, visto che la sua economia è in forte espansione?
Daniel Pipes: Israele è in pieno boom economico, ma è sempre più oggetto di critiche che rasentano la delegittimazione al punto che potrebbe aver luogo un boicottaggio economico da parte dell'Europa unitamente ad altri Paesi. Israele potrebbe diventare uno Stato isolato come il Sudafrica. La Nuova Zelanda non ha bisogno di una strategia, Israele sì.
D: Quali sono le opportunità di pace tra Israele e la Siria?
Daniel Pipes: Sono minime. Non credo che la leadership siriana voglia separarsi dall'Iran, la forza dinamica del Medio Oriente. Stare con l'Iran è come avere l'impressione di far parte di una squadra vincente. Così, un accordo con Israele sembra improbabile.
D: E se l'Iran cambiasse?
Daniel Pipes: Sì, se accadesse qualcosa che facesse dell'Iran una squadra perdente, il cavallo debole, allora gli altri, come Assad, cambierebbero idea.
D: E se l'Iran avesse il nucleare, allora la Siria non si separerebbe dall'Iran.
Daniel Pipes: Questo darebbe a Damasco un motivo in più per restare fedele a Teheran.
D: Non pensa che ci sia un desiderio da parte siriana di fare pace con Israele?
Daniel Pipes: I siriani farebbero bene a siglare un accordo, quindi un simile accordo sarebbe di buonsenso. Ma perché mai Bashar al-Assad potrebbe volerlo, lasciando ciò che considera una squadra vincente, il cavallo forte? Ricordiamoci che la Siria è governata a beneficio dei suoi governanti, e non dei suoi cittadini. Non scorgo nessun segno che sia pronta a cambiare campo.
La stessa cosa si poteva sentire dieci anni fa, che Hafiz al-Assad avrebbe dovuto firmare un trattato di pace con Israele per ottenere tutti i benefici che potevano derivarne. Ho dubitato di questo perché lui sapeva come far funzionare una dittatura, e non un paese con una borsa valori, una stampa libera e una cultura democratica. Suo figlio, molto meno capace, ha condiviso ancor più la sorte degli iraniani. Appartiene al loro blocco, punto e basta.
Detto questo, Netanyahu stava quasi per concludere un accordo con Assad nel 1998, fermato soltanto dal suo ministro degli Esteri, Ariel Sharon. Ho raccontato questa storia a New Republic un anno fa. Se Netanyahu voleva dar via le alture del Golan vent'anni fa, potrebbe farlo ancora.
D: Dopo Netanyahu ha negato questa storia?
Daniel Pipes: Sì, lo ha fatto. Nell'ora che trascorremmo insieme nel 2001, lui mi ha redarguito per aver raccontato un versione non esatta della storia. Ma io sono fedele alla mia versione.
Obama bombarderebbe gli impianti nucleari dell'Iran?
D: Secondo lei Obama utilizzerà la forza contro l'Iran?
Daniel Pipes: Penso che potrebbe colpire, e per due motivi: ha detto che non accetterebbe un potenziale nucleare iraniano e sta ottenendo scarsi risultati in casa. Su quest'ultimo punto: se vuole cambiare discorso, bombardare l'infrastruttura nucleare iraniana funzionerebbe meglio di ogni altra cosa.
Inoltre, tornando all'attentato dinamitardo del 1981 all'impianto nucleare iracheno, gli israeliani non hanno segnalato il fatto che stavano per attaccare, ma hanno fatto sapere di non poter effettuare questa operazione. Poi all'improvviso, l'hanno fatto. Questo suggerisce che la disinformazione fa sempre parte del gioco. Di conseguenza, non so cosa sappiamo.
D: Pensa che un attacco all'Iran garantirebbe a Obama un secondo mandato?
Daniel Pipes: Non andrei così lontano, ma questo cambierebbe la dinamica politica a suo favore.
D: Ammette che il presidente Obama mostra una particolare incompetenza?
Daniel Pipes: Non ne sono certo. Vi sono due modi di interpretarlo: guardare il risultato negativo dei sondaggi e l'incompetenza generale; oppure vederlo come un'ideologia con degli obiettivi specifici, come lo stato che si appropria di un sesto dell'economia, ed essere rieletto non è una priorità assoluta. Lo considero come il quarto dei presidenti democratici che cerca di modificare il rapporto dello Stato con la società: Wilson, Roosevelt, Johnson e ora Obama.
D: Il presidente è un ideologo, e non un pragmatico?
Daniel Pipes: Sì, ma potrebbe diventare pragmatico, e bombardare l'Iran sarebbe pragmatico. A proposito, la sinistra negli Stati Uniti – ciò che il portavoce della Casa Bianca chiama "la sinistra professionale" – ha attaccato Obama. I commenti della sinistra sono talvolta ancor più duri di quelli della destra. A sinistra si riscontra un grave disappunto.
In America, sono in crescita i sentimenti anti-islamici?
D: Che ne pensa dell'Iniziativa Cordoba?
Daniel Pipes: Rappresenta un ulteriore tentativo di espandere l'islamismo. Più interessante è la reazione contro di essa, che equivale a un rifiuto delle moschee in generale, in Tennessee e in altri posti.
D: Ma non c'è nessuna incidenza anti-musulmana, vi sono nove volte di più delle incidenze anti-semite.
Daniel Pipes: Certo, ma ce n'è qualcuna contro i musulmani, anche se il numero delle incidenze anti-musulmane è minore rispetto a quelle anti-ebraiche, come avete sottolineato. Assistiamo a un aumento del sentimento anti-islamico, non anti-islamista. Non sono d'accordo. Vorrei che la resistenza fosse obbligata e cauta.
D: La minoranza musulmana in America è più prospera di ogni altra minoranza musulmana presente in ogni altro Paese occidentale. Il sentimento anti-islamico è veramente un problema nel contesto americano?
Daniel Pipes: Sì, lo è. Sempre più.
D: Ma non ci sono fanatici che incoraggiano la gente a scendere in strada e ad agire contro i musulmani.
Daniel Pipes: No, non c'è gente organizzata, ma c'è la sensazione che coloro ai quali non piace l'islamizzazione e quelli che non amano i musulmani abbiano trovato una voce e una questione da dibattere. Per certi versi, ne sono felice, per altri mi dispiace. Mi fa piacere che gli americani rifiutino l'islamizzazione, ma dovrebbero accettare l'Islam moderato.
D: Che ne pensa dell'uomo che sta dietro la moschea, l'imam Abdul Rauf?
Daniel Pipes: È un opportunista e va in cerca di pubblicità. Dice di essere un imam, ma non ha nemmeno un diploma. L'establishment islamista non è contento di lui per i problemi che gli procura. Non mi dà fastidio che la moschea venga costruita, perché essa danneggerà l'islamismo.
D: In ambedue i casi, la vittoria è degli americani.
Daniel Pipes: Sì.
La natura complessa del mondo arabo
D: Torniamo al mondo arabo. Pensa che il tribalismo sia più pervasivo dell'Islam nel mondo arabo?
Daniel Pipes: L'Islam assorbe una filosofia tribale e ha delle caratteristiche tribali. Il tribalismo non è una tratto distintivo – l'Egitto non è una società tribale – ma è endemico, una lente che spiega molte peculiarità.
D: L'islamismo è qui per restare?
Daniel Pipes: Il movimento islamista in questo momento è dominante, ma è una questione temporanea. Possiamo già notare un maggior numero di musulmani che rifiutano l'islamismo e che si ispirano al modello liberale occidentale. Essi non sono in posizione di forza, ma c'è un fermento di idee tra i dissidenti, gli intellettuali e gli organizzatori nel diffondere queste idee. Potrebbero ben riuscirvi, ma non succederà molto presto.
D: E Yusuf al-Qaradawi, che ha tutto questo potere nel mondo musulmano ed è considerato un moderato in seno alla comunità musulmana?
Daniel Pipes: È considerato un islamista moderato, il che significa più o meno essere un nazista moderato.
D: È d'accordo sul fatto che Qaradawi rappresenta la strada araba?
Daniel Pipes: È un'importante figura islamista e un intellettuale che ha un vasto pubblico con i suoi libri, i programmi televisivi, le sue organizzazioni e la sua diplomazia, ma non credo che la maggior parte dei musulmani siano degli islamisti.
D: L'islamismo fa parte di un continuum storico nella storia islamica? Non è apparso dal nulla?
Daniel Pipes: Certo, ci sono degli antecedenti agli islamisti moderni, ad esempio Ibn Taymiyya. Ma è una elaborazione ideologica moderna di un vecchio tema.
D: Come spiega l'incapacità di autocritica collettiva nel mondo arabo? Ad esempio, un recente articolo apparso nel quotidiano pubblicato a Londra Al-Sharq al-Awsat sostiene che c'è bisogno di un'indagine più approfondita su ciò che è realmente accaduto l'11 settembre.
Daniel Pipes: Ho scritto un intero libro intitolato The Hidden Hand sulle teorie del complotto in Medio Oriente. La dipendenza mentale dalle teorie del complotto nei Paesi di lingua araba è del tutto singolare. Ironia della sorte, non è un fenomeno intrinsecamente musulmano, ma deriva dall'Occidente. Una prova di ciò risiede nel fatto che i musulmani hanno gli stessi due nemici degli europei nell'ambito delle teorie cospirative: gli ebrei e le società segrete come i massoni. Al contrario, non se la prendono quasi mai con gli indù, i russi, i tedeschi, i cinesi e con i giapponesi.