La conquista irachena del Kuwait è una tragedia umana. Al di là delle trasgressioni etiche e delle violazioni giuridiche, dell'aumento dei prezzi petroliferi e della destabilizzazione della regione più importante del Terzo Mondo, un tiranno ha distrutto un Paese pacifico e pieno di vita. Vorrei ricordare il Kuwait così com'era prima che Saddam Hussein lo trasformasse in una ulteriore rotella dell'ingranaggio della sua macchina bellica.
A dire il vero, i kuwaitiani se la passavano bene – troppo bene. I circa 700.000 cittadini beneficiavano di un reddito annuo di circa 14 miliardi di dollari. Reddito che ammonta a 23.000 dollari l'anno per ogni uomo, donna e bambino. (Per contro, il reddito personale medio degli americani è di 18.700 dollari procapite.) Se la vita fosse giusta, i kuwaitiani non avrebbero beneficiato di una simile ricchezza immeritata, spillata in modo per niente indolore in egual misura da Paesi industrializzati e poveri. Ed è inutile negare che una gran parte di questo denaro sia finita nell'abituale indulgere ai piaceri: case, automobili, domestici e vacanze all'estero.
Ma non c'è motivo di inveire contro la fortuna dei kuwaitiani. Al di là dei lussi, la questione chiave consiste nel sapere se i beneficiari di questo reddito l'abbiano utilizzato in modo costruttivo, piuttosto che sperperarlo. E qui essi ottengono dei voti alti. È sorprendente come in una sola generazione il Kuwait sia emerso come centro intellettuale e culturale del Medio Oriente. Esso ha finanziato delle ricerche serie su problemi medici ed ecologici. Le sue università hanno attirato alcune delle menti più brillanti dei Paesi di lingua araba.
Una volta che i kuwaitiani sono diventati istruiti, sono riusciti a riconoscere il valore della tolleranza liberale. I loro giornali e i loro libri erano tra i più liberi e i più importanti della regione. Sia che si trattasse di notizie accurate provenienti dal Libano o della versione in arabo di Sesame Street, c'erano delle buone probabilità che venissero dal Kuwait. Oltre al piacere e al divertimento, c'era un buonsenso nel cercare di far bene le cose, di dare un certo profitto ai tanti investimenti fatti dal mondo. Certo, il profitto è stato magro, ma col tempo sarebbe aumentato.
Il governo dello sceicco Jabir al-Sabah era il migliore nel mondo arabo. "Come tutti gli arabi, egli governa con la forza", mi ha detto un kuwaitiano nel 1989. "Ma era l'unico tra loro a temperare questa forza con la clemenza". Jabir ha garantito un parlamento vivace, il solo fra gli sceiccati del Golfo Persico. Quando un movimento a favore della democrazia ha cominciato prima quest'anno, la sua riposta non è stata affatto entusiastica, ma moderata. I cittadini hanno esercitato ampi diritti alla libertà di espressione. In breve, lo sceicco Jabir è stato il tipico esempio di un benevolo autocrate del deserto.
Il Kuwait non dovrebbe essere confuso con l'Arabia Saudita, il suo vicino molto più grande e meglio conosciuto. Pressoché sotto tutti gli aspetti, il Kuwait è un luogo più affascinante. Lo sceicco Jabir non ha mai imposto il marchio di controllo di Re Fahd sui viaggi né ha mai tagliato mani e teste. In Kuwait, le donne guidavano le automobili, frequentavano le aule universitarie insieme agli uomini, condividevano con loro gli spazi commerciali e ricoprivano posizioni di responsabilità in seno al governo. Certo, l'uso di l'alcool era vietato, ma le numerose infrazioni di questo divieto non erano per la maggior parte punite. Contrariamente alla dinastia saudita, con il suo secolare collegamento con la versione wahhabita dell'Islam, la dinastia dei Sabah non ha cercato di imporre una forma di fondamentalismo estremista né sulla propria popolazione né sul mondo esterno. In tutte le cose, i kuwaitiani sono stati più modesti, più affabili.
Benché non sia mai stata saggiata fino ad oggi, la popolarità del governo è stata creata dall'invasione irachena. Malgrado gli sforzi frenetici di Saddam Hussein per trovare un kuwaitiano che governasse il Paese a suo nome, nessun quisling è saltato fuori. Piuttosto, i nuovi governanti "rivoluzionari" e i soldati appartengono a un uomo iracheno. Il rifiuto, perfino da parte dei soggetti più insoddisfatti, di tradire il loro emiro è uno straordinario omaggio reso a un capo, e soprattutto a un sovrano.
La tragedia umana va al di là degli stessi kuwaitiani, che sono una minoranza nel loro stesso Paese, e include 1,2 milioni di non-cittadini. Gli stranieri non soffriranno in eguale misura a causa dell'invasione. Per qualcuno – gli operai edili dello Sri Lanka e le domestiche filippine – ciò significherà soltanto tornarsene a casa, senza lavoro e prima del previsto. Ma centinaia di migliaia di lavoratori e le loro famiglie hanno fatto del Kuwait la loro residenza permanente. Sebbene siano stati rigorosamente esclusi dalla vita politica del Paese, essi hanno, però, avuto l'opportunità di risiedervi e prosperare. Nati in Kuwait, essi non conoscono nessun'altra patria. Ora si renderanno conto di non avere più mezzi di sussistenza e che la loro presenza forse è importuna. Per molti dei 300.000 o forse più palestinesi, ciò significherà ancora una volta fare i bagagli. Chi li accoglierà questa volta?
La politica estera irachena rifletteva questo spirito di tolleranza. Nel tentativo di mantenere degli ottimi rapporti con quasi chiunque, il governo ha elargito miliardi di dollari in aiuti e ha tentato di fungere da conciliatore. Contrariamente a molti dei suoi pari, ricchi di petrolio, esso non ha appoggiato i gruppi terroristici né ha cercato di plasmare un nuovo ordine internazionale.
A meno che non succeda un miracolo, la vita placida, commerciale e vivace a livello sociale del Kuwait è morta. Se Jabir ha lasciato i suoi soggetti da soli a coltivare i loro stessi giardini, Saddam Hussein gli metterà un giogo perché lavorino nel suo. Se il denaro del Kuwait un tempo ha nutrito una società di individualisti, ora esso sarà utilizzato per costruire una macchina da guerra irachena. Niente più vita agiata. Gli uomini, che beneficiavano di redditi elevati per un lavoro simbolico, lavoreranno di più e guadagneranno di meno. Le donne impareranno a vivere senza servitù e con una penuria di derrate alimentari di base. I bambini lasceranno le scuole straniere per i rigori dell'indottrinamento politico. Le libertà di espressione, di stampa e di movimento saranno ricordate con nostalgia.
Uno scrittore iracheno ha definito il governo Baath di Saddam Hussein una "repubblica della paura" e la definizione è appropriata. Da quando si sono impadroniti del potere nel 1968, Saddam ed altri dirigenti hanno perfezionato un sistema di controllo e di intimidazione simile a quelli di Stalin e Mao. Oggi Saddam combina il potere assoluto con un'ambizione criminosa; i 17 milioni di iracheni non sono altro che veicoli per permettergli di ottenere potere personale. Ed ora anche i kuwaitiani sono un mezzo per raggiungere questo fine.
Quando le truppe irachene sono entrate in Kuwait il 2 agosto scorso, è terminata bruscamente un'epoca d'innocenza. Non si possono prevedere le tribolazioni future, ma è chiaro che una delle poche luci in Medio Oriente si è spenta.