Il presidente Reagan ha ripetutamente asserito che gli Stati Uniti hanno degli interessi vitali in Libano. Sebbene egli non abbia indicato quali siano questi interessi, un'attenta lettura delle dichiarazioni governative mostra che Washington ha due obiettivi in Libano. Uno di questi consiste nel ristabilire la pace in questo Paese; l'altro mira a mantenere un governo filo-americano a Beirut e ad estendere la sua autorità al resto del Paese. Anche se questi obiettivi vengono immutabilmente menzionati come se fossero complementari, in realtà sono incompatibili. O il governo americano cerca di porre fine alla guerra civile in Libano oppure deve mirare a un governo filo-occidentale, ma non può perseguire entrambi gli obiettivi. Le ragioni di ciò hanno a che fare con l'importanza culturale della guerra civile libanese.
Sebbene nella guerra civile siano coinvolte una miriade di fazioni interne, sostanzialmente esistono soltanto due grosse coalizioni. Di una fanno parte coloro che hanno tratto beneficio dallo statu quo ante inteso come situazione di fatto esistente prima della guerra civile scoppiata nel 1975; dell'altra coalizione fanno parte coloro che si sono sentiti svantaggiati da quella situazione. Una parte cerca di preservare la ripartizione del potere, della ricchezza e dei privilegi in Libano, l'altra cerca di evitarla.
Nonostante innumerevoli eccezioni, le forze a favore dello status quo constano principalmente di cristiani e i ribelli sono per lo più musulmani. I cristiani costituiscono circa il 40 per cento della popolazione e i musulmani (inclusi i Drusi) circa il 60 per cento. Ognuna di queste comunità è divisa in sette ossia in innumerevoli fazioni politiche più piccole.
La parte cristiana, costituita dai maroniti cattolici, domina a livello politico. Nel XIX secolo i loro forti legami comunitari portarono alla creazione del moderno Libano nel 1920, ed essi controllano il governo sin dall'indipendenza avvenuta nel 1943. I maroniti sono sempre stati molto devoti all'ideale del Libano come Stato indipendente.
Il successo della politica maronita deriva in gran parte dai legami instaurati con il Vaticano e la Francia, che risalgono all'epoca medievale. Non solo i maroniti hanno tratto profitto dall'educazione moderna e dal commercio internazionale, ma quei contatti sono valsi loro la benevolenza di potenti patroni europei. Come risultato del dipendere dall'Occidente per così tanto tempo, i maroniti hanno finito per considerarsi un avamposto della civiltà europea nel Medio Oriente musulmano. E far parte dell'Occidente è divenuto un aspetto chiave dell'identità maronita. Pur essendo di lingua araba, dopo il 1920 i maroniti presero le distanze dagli arabi musulmani e il Libano era a un passo dagli altri Paesi arabi, tutti prevalentemente musulmani. Per gli Usa, tutto questo implica che il controllo maronita assicura la permanenza di un governo amico a Beirut.
I musulmani libanesi, al contrario, hanno un atteggiamento profondamente ambivalente verso l'Occidente. Come i loro correligionari in tutto il mondo, sono attratti dai successi culturali, militari ed economici ottenuti dall'Europa e dall'America e nondimeno non sopportano di dover emulare il mondo cristiano. Il fatto che i maroniti siano così strettamente associati al mondo occidentale ha spinto i musulmani sunniti ad allontanarsi dall'Occidente e li ha indotti ad identificarsi con il mondo arabo. A differenza dei maroniti, che pensano che il governo siriano costituisca la maggiore minaccia alla loro indipendenza, i sunniti guardano a Damasco come loro speciale patrono.
Gli Stati Uniti devono scegliere quale linea politica attuare in Libano: mantenere un governo filo-americano a Beirut o cercare la pace. La prima linea politica implica la dominazione maronita e la preservazione di quelle disuguaglianze che causarono il malcontento musulmano e portarono alla guerra civile nel 1975. Se quest'ultima dovesse continuare, il governo centrale non controllerà che più di un pezzetto del Paese; per meglio dire, potrebbe conseguirne la spartizione del Paese in una zona cristiana e in un'altra musulmana. La prima continuerebbe ad essere fermamente filo-americana e la seconda allo stesso modo filo-sovietica. Questi ministati probabilmente continuerebbero a combattersi l'un l'altro a tempo indeterminato.
La seconda linea politica, volta a ristabilire la pace in Libano, implica la ridistribuzione del potere e la sua condivisione con i musulmani in modo più equo. In tal caso, il governo libanese non verrebbe più retto da gente dedita ad avere stretti rapporti con l'Occidente. Se fossero i musulmani a raggiungere il potere in Libano, il risultato che ne conseguirebbe sarebbe di certo un abbandono delle linee politiche apertamente filo-americane dei maroniti. I musulmani al governo di Beirut assumerebbero un atteggiamento riservato che caratterizza i rapporti di altri Paesi arabi con gli Usa; essi sarebbero inclini ad ampliare le relazioni con l'Unione Sovietica e in breve tempo la pressione siriana perlomeno li spingerebbe di certo verso stretti rapporti con il blocco sovietico.
Il governo americano alla fine dovrà scegliere fra due prospettive in Libano: un governo amico in una parte del Paese in guerra o un governo meno amico in un Paese in pace. Spetterà al Presidente infine decidere quale di queste situazioni poco allettanti è più vantaggiosa per gli Usa.